Villa Zileri
La storia di Villa Zileri non può che essere ricca e affascinante, come ricco e affascinante è questo meraviglioso complesso.
Per raccontare i personaggi che l’hanno costruita e ampliata, lo straordinario patrimonio artistico che racchiudere e le vicende storiche che l’hanno vista protagonista, servirebbe un libro: e difatti il libro c’è, come pure la possibilità di scoprire gli interni prenotando una consigliatissima visita guidata. In questa pubblicazione ci si limiterà per motivi di spazio, in coerenza con lo spirito di Interno Verde, alla descrizione del parco.
Anticamente in quest’area, di proprietà dei monaci di San Felice, si alternavano foreste e paludi: il paesaggio aveva poco o nulla da spartire con l’attuale campagna ordinata e fertile, solcata da canali. La bonifica degli acquitrini venne avviata nel Quattrocento dalla famiglia Loschi, all’epoca tra le più importanti e potenti di Vicenza, che aveva intuito il potenziale dei terreni. Per diversi secoli le costruzioni realizzate qui risposero unicamente a necessità funzionali: il nucleo primitivo della villa si costituiva di casolari, ricoveri per gli attrezzi, magazzini. La forma e l’orientamento dei fabbricati era determinato dalla funzione e dal territorio, chiuso a nord dal colle di San Giorgio, collegato ad est con la strada pubblica.
Solo nella metà del Seicento si cominciò a ripensare l’edificio affinché avesse anche una funzione di rappresentanza: si demolirono i vecchi fienili e cominciò a prendere forma la villa. Il progetto del parco iniziò ad essere discusso nel Settecento. Il casato aveva meritato l’iscrizione nel Libro d’oro della nobiltà veneziana, essendosi distinto sia per meriti letterari che per imprese militari, e bisognava adeguare la residenza al nuovo prestigioso status.
L’architetto Muttoni, chiamato dal conte Nicolò, preparò un disegno grandioso, che comprendeva un vasto parco all’italiana costellato di frutteti e peschiere, e un giardino col belvedere sul retro. Il progetto per l’immobile, altrettanto monumentale, venne radicalmente ridimensionato e infine approvato, quello delle aree verdi rimase sulla carta. La loro sistemazione si realizzò qualche anno dopo, grazie all’intervento di Giuseppe Marchi, decisamente più semplice e pragmatico, e razionalizzò l’unica peschiera già esistente.
L’impianto romantico, all’inglese, venne ideato nell’Ottocento, per volere di Drusilla Dal Verme, vedova dell’ultimo esponente della famiglia Loschi. La nobildonna brillava per intelligenza e intraprendenza: riformulò completamente l’intera possessione agricola, introducendo innovazioni tecnologiche e sperimentando nuovi metodi di allevamento.
Ricevette nel 1871 una medaglia d’argento quale benemerita delle classi agricole e nel 1876 ottenne una menzione d’onore per “la più bella coppia di vitelli di anni due di razza tirolese”. Per il rifacimento del parco volle affidarsi a Giuseppe Balzaretti, celebre architetto milanese, specializzato in giardini, intenzionato a stravolgere l’impianto precedente. Addio geometria, addio simmetria! Benvenuti percorsi sinuosi, corsi d’acqua, radure, prati e boschetti, alberi monumentali collocati strategicamente per dare l’impressione della profondità e della continuità, di una natura apparentemente spontanea che si allunga fino al fondale dei Colli Berici. L’idea venne accolta, anche se decisamente ridimensionata: non ci si avventurò sul colle di San Giorgio e l’assetto viario venne solo parzialmente modificato.
Oggi il visitatore incontra il frutto di quello eccezionale lavoro, insieme agli alberi monumentali piantati in quell’occasione, inseriti nell’Elenco nazionale promosso dal Ministero: lo stupefacente cipresso calvo, le magnolie, i cedri dell’Atlante, il ginkgo, il viale di carpini bianchi.