Villa Margherita

Via della Certosa 7, Mantova

Tra le architetture più caratteristiche di Borgo Angeli spicca senza dubbio Villa Margherita, la cui facciata monumentale – collocata in fondo al vasto giardino – non può che suscitare curiosità e meraviglia nei tanti automobilisti di passaggio lungo la strada provinciale che collega il quartiere al centro città.

Le prime tracce del complesso risalgono a una mappa seicentesca, che descrive questo appezzamento come “ragioni dei padri Teatini, possedute dagli Arrivabene”. Sembrerebbe dunque che in origine il terreno fosse coltivato dai religiosi. Altre rappresentazioni catastali, del 1775 e del 1855, chiariscono la trasformazione da unità di produzione agricola a villa padronale, passaggio incarnato dalla costruzione dell’imponente colonnato e delle ali laterali. Il progetto di questo intervento potrebbe essere stato tra quelli proposti dagli architetti della scuola di Paolo Pozzo al concorso bandito alla fine del Settecento all’Accademia Virgiliana, sul tema del “casino nobile di campagna”, di cui si conservano ancora i disegni originali. Un ulteriore documento del 1830 testimonia come in quel periodo gli ambienti fossero utilizzati come abitazione: il proprietario Giosafatte Ferrari descriveva il bene ai conduttori, ovvero agli affittuari, Giovanni e Ferdinando Marconi, specificando come le barchesse fossero funzionali alla produzione di acquavite, alla conservazione dello spirito di vino, dell’aceto, delle candele e del sapone. Le grandi vasche in pietra che punteggiano il parco retrostante, sfruttate come vasi per arbusti, risalgono a quell’epoca: provengono dai magazzini, dove la ditta Malagoni fino ai primi decenni del Novecento produceva olio e sapone. 

Le statue che sbucano in mezzo alla vegetazione hanno tutta un’altra storia. Rappresentano le stagioni e vengono chiamate affettuosamente “le bambine Finzi”. Furono trasferite a Borgo Angeli da un’altra residenza di campagna, appartenente ai genitori dell’attuale proprietaria, Maria Rosa. La loro collocazione originale però era squisitamente cittadina: esse infatti scandivano i pianerottoli di Casa Finzi, in via Ippolito Nievo. I Finzi erano noti pellicciai di religione ebraica, che nei primi decenni del Novecento impiegavano nei loro stabilimenti centinaia di operaie. Scapparono da Mantova per evitare le persecuzioni razziali e non vi fecero più ritorno: a ricordare la famiglia restano le quattro graziose figurine.

Dietro ad esse  si allunga sinuoso un bearceau coperto di vite e di rose: «quella struttura è più recente, fu mio nonno a volerla realizzare», racconta Maria Rosa. «Oggi la vite non produce più tanta uva come una volta. I fiori li ho portati io, provengono dall’Irlanda. Mentre ero in viaggio, tanti anni fa, raccolsi una talea. Tenni il rametto umido, lo conservai nello zaino per giorni e giorni, anche in aereo. Arrivata in Italia riuscii a farlo radicare». 

Inoltrandosi nel parco, verso la bella prospettiva del campanile, si incontrano sulla destra delle macchie di iris viola. Sono un regalo che viene da Ferrara: provengono da un altro meraviglioso giardino aperto eccezionalmente al pubblico da Interno Verde, quello di Palazzo Scroffa.

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