Urbano diffuso
Non è obbligatorio avere un giardino per essere giardinieri. La signora Flavia lo sa bene: ha trasformato l’intero isolato di contrà Barche in un piccolo giardino diffuso, spargendo qua e là plumbago e surfinie, salvie, edere e zinnie.
Abita qui dal 1995 e, nonostante poco tempo fa abbia dovuto traslocare, ha scelto una casa nuova a pochi passi dalla vecchia, per non perdere le buone abitudini: controllare che cresca bene l’oleandro della piazzetta davanti alla sede di Fiab, innaffiare i vasi di gerani distribuiti in giro, cancellare con acqua e sapone le scritte volgari che puntualmente compaiono sui muri. La sua sensibilità per lo spazio comune, il suo impegno per la comunità e il suo indiscutibile pollice verde si scoprono passeggiando in stradella Retrone e nelle vie limitrofe.
In stradella Barche ha piantato e cura, insieme all’associazione Civiltà del Verde, la spumeggiante aiuola accanto al Bar Astra. Nella stessa via, infilandosi dentro al portone del civico 6, si incontra sulla destra un cortile chiuso da un cancello: era vuoto fino a quando la signora Flavia non ha chiesto al condominio di potersene prendere cura. Da lì ha iniziato a verdeggiare, riempiendosi si cespugli di aucuba e aspidistre, alocasie e fiori di ipomea. Proseguendo fino all’affaccio sul fiume si trova, guardando in basso, uno dei suoi ultimi interventi: ha piantato degli acanto sulla sponda del corso d’acqua, sperando che possano col tempo propagarsi e andare a sostituire, almeno parzialmente, le ingombranti piante spontanee che occupano la riva.
Tra i vicini Flavia è famosa soprattutto per le citazioni letterarie che scrive su cartoncini, infilati a sorpresa tra i fiori, ma anche per essersi a lungo presa cura dei numerosi gatti randagi. «Quando arrivai qui ce n’erano una quarantina, ne ho portati a sterilizzare due o tre, poi mi son messa d’accordo con il servizio veterinario. Li catturavo, li portavo in ambulatorio, e poi tornavano qui». Di quell’epoca resta a spasso la Nerina, una gatta color del carbone che ha festeggiato le venti candeline. Ha avuto una vita tempestosa: è stata investita, presa a calci, ne ha viste davvero tante. «Diventando anziana si è voluta accasare», spiega Flavia. «Mi aspettava quando tornavo a casa, piangeva se non arrivavo, e allora l’ho presa con me, anche se la sua indole resta libera e piuttosto selvatica. Di giorno la si vede in strada, che sonnecchia rilassata. Di notte sta al coperto ma guai se non ha almeno una finestra socchiusa, per entrare e uscire a piacimento».
Il motto di questa intraprendente signora, ora in pensione, è semplice: «le mani nella terra e la testa nel cielo». Il suo approccio è pratico e spigliato, estremamente consapevole. Sa che ci sono lavori che vanno fatti e rifatti all’infinito: ci sarà qualche maleducato che passando a tarda notte rovinerà i vasi, o magari per scherzo ne porterà via un paio, ci sarà chi per la milionesima volta vorrà esprimere il proprio disappunto per la vita con la vernice spray, ci saranno anche passanti talmente affascinati dai suoi bigliettini da pensare di intascarseli e appenderli sul frigo di casa. Pazienza: si scriveranno nuove frasi, si appenderanno nuovi fiori.
Non è un processo arreso: non è come rassegnarsi all’inevitabile polvere, sempre da spazzare fuori. É un processo fiducioso e lento: piano piano, una clivia alla volta, un bel gesto alla volta, le cose cambiano, le persone imparano a vedere la cura, ad apprezzarla e a rispettarla, nei casi migliori diventa un esempio da imitare. Ci vogliono tempo e pazienza ma il movimento esiste, non è tutto fermo, non è tutto inutile. Nel frattempo il giardino urbano cresce e si espande.