Residenza Salvi
La Residenza Salvi è una specie di cittadella: un complesso vasto e articolato, con lunghi corridoi, numerose scale e camere, suggestivi chiostri.
Gestita da Ipab Vicenza, fornisce assistenza a circa 400 persone anziane e fragili. La struttura ha una storia importante: ciò che si vede oggi è il frutto di annessioni, modifiche, ampliamenti.
Il nucleo più antico risale al Seicento, e all’insediamento nel quartiere dei Padri minimi di San Francesco di Paola, che presero possesso di un precedente ospizio per pellegrini e bisognosi dedicato a San Giuliano, costruito nel 1270 dalle monache benedettine. I frati non erano contentissimi della soluzione: benché sottoposti alla regola della povertà e della penitenza, avrebbero voluto spazi più grandi e comodi, e anche una chiesa più bella. Dopo circa un secolo di lamentele il desiderio venne esaudito: il Comune finanziò il rifacimento completo e affidò il lavoro ad Antonio Pizzocaro, ovvero allo stesso architetto che progettò il restauro della Residenza Proti e che all’epoca in città andava per la maggiore. Ciò che si apprezzava del suo stile era la severità: disegnava edifici asciutti, essenziali, visivamente coerenti con lo spirito della Controriforma. Il cantiere fu lungo, dal 1666 al 1693, e non fu nemmeno risolutivo. Nel Settecento i religiosi, a seguito di un incendio, vollero rifare la facciata su corso Porta Padova, ulteriormente modificata poi con la creazione dell’Istituto Salvi.
Il passaggio da convento a struttura sanitaria come si può immaginare non fu semplice. Prima vennero espulsi da Vicenza i Padri minimi e al loro posto vennero collocati i Cappuccini. L’ordine arrivava dalla Serenissima, che aboliva le comunità troppo piccole. Col dominio francese il convento venne parzialmente sfruttato come ospedale militare, e nel successivo Regno d’Italia, si creò al suo interno la residenza per anziani. Il Comune infatti utilizzò la sostanziosa eredità del conte Gerolamo Salvi per ripristinare e attrezzare le sale, e dedicò al generoso aristocratico l’Istituto.
Gli spazi aperti di cui oggi dispone l’immobile sono tre. C’è il giardino con gli aceri e le roselline, utilizzato dagli ospiti per incontrare i propri parenti e per trascorrere il tempo libero, tra una chiacchiera e una mano a carte. C’è il cortile pavimentato, con la lavanda, il nespolo, il gelsomino e i paesaggi della pedemontana vicentina dipinti sul muro. Infine c’è il chiostro del Pizzocaro, adiacente alla chiesa barocca, col portico loggiato e le volte a crociera, tra tutti sicuramente il più affascinante e curioso, capace com’è di raccontare lo scorrere del tempo e rendere espliciti i cambiamenti che si sono succeduti all’interno dello stabile. Lo spazio è partito geometricamente, dominato al centro dalla vera da pozzo con l’edicola settecentesca. Aperto sopra un quadrato di cielo, vi occhieggia il suggestivo campanile di San Giuliano.
Nelle aiuole crescono le rose, le palme, l’aucuba. Una statua di Santa Chiara, vestita di stracci laceri, invita alla modestia e alla preghiera.