Pia Casa Maruffi
Via Roma 103, Piacenza

Quando si parla “del Maruffi” in città tutti sanno a cosa ci si riferisce: a un grande palazzo nobiliare, convertito in casa di riposo. Quanti conoscono davvero la storia celata dietro questo nome?
E’ una storia di gentiluomini, di generosità d’altri tempi. Qui infatti risiedeva il conte Carlo Luigi Villa Maruffi, discendente di un’antica famiglia di origine ligure, impegnata non nel commercio ma nella diplomazia, nella giurisprudenza, nella politica. Una famiglia decisamente benestante e inclusa nella più alta aristocrazia locale. A costruire il palazzo di via Roma fu il conte Carlo Luigi I, nel Seicento, com’è testimoniato dal fregio con lo stemma dinastico, tuttora conservato ai piedi dello scalone monumentale. A destinare l’elegante residenza alla comunità fu il nipote di suo nipote, un paio di secoli dopo, il conte Carlo Luigi III. Diversamente dai suoi predecessori egli non si interessò di amministrazione o magistrature, non assunse incarichi pubblici. Viaggiava molto, in Italia e all’estero, e si sposò da quarantenne, in tarda età, considerati gli standard dell’epoca. Il matrimonio, stando ai documenti, non fu felice: viene descritto come “un doloroso episodio”, che lo amareggiò per tutta la vita.


Cosa successe? Non è dato sapere. Tuttavia quando rimase vedovo il conte preferì restare solo, per evitare “altre amare esperienze”. Sicuramente il pensiero di essere l’unico erede maschio e di non avere figli ebbe un peso, nei ragionamenti che lo portarono alla creazione dell’Opera Pia. Anziano e malato, decise di destinare metà del suo patrimonio ai discendenti della sorella, che aveva sposato il conte Caracciolo, e l’altra metà ai poveri, uomini e donne rimasti senza lavoro a causa di un incidente o di una malattia.
Il testamento è firmato nel 1852, già nel 1906 il ricovero di via Roma è attivo, pronto ad accogliere i bisognosi. Certo, oggi la sua organizzazione è cambiata, come sono cambiati i criteri di ammissione e anche ovviamente i servizi offerti agli ospiti. Non è cambiata la missione sociale, la volontà di costituirsi rifugio, offrire cura e riparo, alleggerire attraverso la vita comunitaria il peso degli anni. Il giardino, creato per accompagnare la quotidianità di una prestigiosa e potente famiglia, conserva qua e là alcune tracce del fasto originale, come il berceau in ferro battuto, dove una volta si serviva il caffè agli ospiti. Tuttavia l’impianto è stato riformulato nel corso del Novecento per accogliere svaghi ben più popolari, come testimonia il campo da bocce, ombreggiato dagli alberi.