Palazzo Valmarana Braga è una tappa obbligata per chi visita la città. L’imponente residenza nobiliare testimonia lo straordinario talento di Andrea Palladio, nell’arteria principale del centro cittadino.

Ad assegnare l’incarico fu Giovanni Alvise Valmarana, esponente di una delle dinastie più potenti della Vicenza del Cinquecento, che all’epoca possedeva terreni e immobili un po’ ovunque, compreso il centralissimo corso Fogazzaro. La sfida posta all’architetto non fu delle più semplici: avrebbe dovuto organizzare gli edifici preesistenti in un’unica prestigiosa residenza, confrontarsi con muri sghembi e planimetrie irregolari, far emergere dalla difformità e dal caos quanto meno l’impressione dell’ordine olimpico che contraddistingueva il suo stile. Giovanni Alvise – la cui influenza fu decisiva per l’ascesa del Palladio – non fece in tempo a vedere il sogno trasformato in realtà: morì poco dopo aver avallato il progetto, e il cantiere venne gestito da sua moglie, Isabella Nogarola. Fu lei a pagare i muratori e seguire i lavori, conclusi nel 1565, come testimonia la medaglia di fondazione. Stando ai disegni in teoria il cantiere avrebbe dovuto proseguire, con un ulteriore costruzione che avrebbe chiuso il cortile d’onore. Nella realtà gli eredi preferirono rinunciare: acquistarono gli stabili confinanti e li sfruttarono per quanto potevano offrire, senza particolari interventi.

Proprio in questo spazio intermedio, una via di mezzo tra un cortile e una rimessa, adiacente alle serre e ai vecchi ambienti di servizio, è stato incastonato il recentissimo giardino.

Il palazzo, ammalorato e cadente, venne venduto a Vittor Luigi Braga Rosa nel 1960: fu un passaggio importante, perché permise l’avvio del restauro. Durante la Seconda Guerra Mondiale infatti i bombardamenti alleati avevano prodotto serissimi danni. Si era fortunatamente salvata la facciata, con il rivestimento originale e le marmorine, ma erano stati danneggiati la copertura, l’attico e il piano nobile. Il ripristino servì a recuperare l’integrità del complesso, che venne inoltre arricchito di opere d’arte e collezioni, e infine aperto al pubblico. L’obiettivo dell’intervento era duplice: recuperare e valorizzare il prezioso bene monumentale, contestualmente renderlo economicamente sostenibile, promuovendo accoglienza turistica ed eventi.

Il giardino si inserisce al termine di questo lungo percorso: è stato creato nel 2020, in piena pandemia Covid, per affiancarsi come spazio privato all’abitazione ricavata dentro le vecchie stalle. A camminarci dentro sembra esista da sempre: gli alberi sono grandi, la vegetazione fitta, in realtà è giovanissimo. Francesca, che l’ha ideato e pazientemente lo cura, ha cercato qui di far convergere istanze diverse: certo c’è la ricerca estetica, il gusto di chi ama circondarsi di bellezza, ma c’è anche la praticità di chi vuole vivere il giardino e non solo osservarlo da lontano, e c’è la sensibilità per l’ambiente, che spinge verso scelte ecologiche.

Il prato non si pettina all’inglese, si preferiscono sfalci differenziati per lasciare tranquilli gli insetti e favorire la biodiversità. Nelle zone più ombrose non si forza il terreno a ospitare ciò che non può e si sperimentano soluzioni innovative, come il curioso tappezzamento di gelsomino rustico, lasciato espandersi orizzontalmente. L’insieme è romantico e decisamente affascinante, volumi e colori si mescolano, le aromatiche spandono il loro profumo nell’aria e le farfalle svolazzano dalla buddleia alla mimosa, dalla mimosa al pruno rosso. Il chiacchiericcio di corso Fogazzaro sembra lontanissimo: si ascoltano le cicale, i grilli, gli uccellini. Ci si dimentica del mondo per osservare come crescono le felci, gli acanto, le ortensie, i loropetalum, per fermarsi ad ammirare le peonie, i settembrini, le salvie, gli elicriso.

Non potrebbe esserci esempio più eclatante per mostrare quanto la cura di un singolo spazio possa contribuire a migliorare l’ambiente di tutta la città: era un parcheggio sterrato, circondato da sgabuzzini in lamiera e magazzini improvvisati, oggi è un’oasi di pace popolata di ronzii e cinguettii, rigenerata e rigenerante.

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