Palazzo Micheli Torracca
Borgo Felino 31, Parma
Già dall’ingresso Palazzo Micheli Torracca testimonia il proprio legame con la storia del Risorgimento italiano, e più in generale con un sentimento patriottico che si rinnova nel tempo per affrontare situazioni e sfide diverse.
Nel corridoio, decorato a trompe l’oeil con motivi a pergola di glicine, ci si imbatte in questa targa: «possedettero ed abitarono questa casa Filippo e Claudio, padre e figlio Linati. Il primo processato come capo del governo provvisorio insurrezionale nel 1831. Il secondo condannato a morte per aver congiurato nel 1831, onde redimere l’Italia dalla schiavitù domestica straniera». Il complesso fu costruito verosimilmente nel Cinquecento, dato che lo si incontra sia nella planimetria disegnata nel 1592 dallo Smeraldi, sia nel settecentesco Atlante Sardi, in cui vengono indicati come proprietari i conti Cogorani, nella cui discendenza si annovera l’ingegner Claudio Cogorani, suddito devoto del Duca Ranuccio Farnese.
L’insediamento della famiglia Linati, di origini genovesi, risale al 1778, ovvero al matrimonio di Emanuela Cogorani con Filippo: politico, scrittore e poeta, nel 1859 fu tra i fautori dell’annessione del Ducato di Parma al Regno d’Italia. Suo figlio Claudio, dopo esser stato pittore nell’atelier di Jacques-Louis David, dovette scappare in Messico per sfuggire alla condanna degli austriaci. Il nipote, anche lui chiamato Filippo, partecipò ai moti del 1848 e del 1859 e fu tra i più accesi sostenitori dell’annessione. Il filo rosso che intreccia la storia di questo palazzo alla storia del Paese non si interrompe con i Linati. Prosegue con il politico Giuseppe Micheli, che nel 1921 decise di comprare l’immobile. Micheli fu vicepresidente dell’Assemblea costituente, parlamentare e ministro di diversi governi italiani. Il carretto è un suo ricordo: veniva utilizzato per portare i bagagli nella villa di San Lazzaro dove con la famiglia usava trascorrere la bella stagione. Il palazzo è tuttora abitato dai suoi discendenti: si deve al nipote Giuseppe Torracca, al suo impegno e alla sua passione, il recente restauro.
Le aiuole all’italiana sono disegnate dal bosso. Di fronte all’ingresso saluta i visitatori la statua di un putto, in piedi sopra una grande conchiglia. Sulla destra una struttura ad archi, coperta dall’edera, ricorda i tempi in cui si usava stendere all’aperto l’uva, per farla macerare. Alcune piante di vite ancora crescono in fondo all’area. A sinistra una piccola montagnola, dominata dal nocciolo, ricorda la vecchia ghiacciaia. Tra gli alberi senza dubbio significativi sono i grandi bagolari, più che centenari, che resistono bene all’inquinamento urbano e creano una vasta zona d’ombra utile a tutto il vicinato. Particolarmente caro – soprattutto ai nipoti, che lo utilizzavano da bambini per esercitarsi nell’arte dell’arrampicata – è il vecchio pruno. Non mancano il nespolo giapponese, il melograno, il ciliegio, il kaki e, a sorpresa il bambù, che probabilmente si è allungato dal vicino Orto Botanico. Oltre alla bella aiuola di ellebori, il prato è chiazzato dalla pervinca, dai narcisi e dall’elicriso. Tra gli arbusti la vivace buddleia. Vicino alla casa cresce il gelsomino giallo, mentre i percorsi sono punteggiati dalle aspidistre in vaso.