Strada della Repubblica 56, Parma

Quanta tranquillità ispira l’ombrosa prospettiva di Palazzo Lampugnani, che dalla chiassosa strada Repubblica si allunga come un cannocchiale verso il placido giardino? In fondo al corridoio si staglia, al centro di una bella aiuola circolare, punteggiata di pervinca, la statua neoclassica che ritrae un giovane uomo che tra le mani regge un’anfora e una tazza, con una pelle di leone che gli scende dal braccio. Personaggio misterioso, a metà strada tra una divinità fluviale e un novello Ercole.
L’area è protetta dalle colonnette di pietra, cinte da una pesante catena di ferro, e dalle siepi di aucuba dove a sorpresa si è infilato un nocciolo. Sulla destra seguono il muro di confine la fotinia, la nandina e le belle aspidistre. Gli anziani tassi, così come l’albero di alloro, creano il perfetto sfondo vegetale a questa arcadia in miniatura, la cui serena compostezza stride con la storia del palazzo, o meglio, con le avventurose e talvolta tragiche vicende di cui si resero protagonisti i suoi abitanti.
L’edificio venne costruito nel Cinquecento per Pier Giorgio Lampugnani, discendente di Giovanni Andrea, che restò alle cronache per aver organizzato a Milano nel 1476 la congiura contro Galeazzo Maria Sforza, trucidato e trascinato per le vie della città, dopo l’incendio appiccato presso l’abitazione. A inizio Ottocento l’immobile passò al conte Filippo Magawly Cerati, irlandese naturalizzato italiano, importante uomo politico al servizio di Maria Luigia, che volle nominarlo presidente del Consiglio di Stato straordinario, giudice dell’Ordine costantiniano di San Giorgio e suo consigliere intimo.


Fu inviato dal Papa Pio VII a Parigi per sondare le intenzioni degli alleati che avevano sconfitto Bonaparte, e sempre per conto del pontefice partecipò al Congresso di Vienna. Uomo coltissimo ed eclettico, al suo ingegno si devono la costruzione del ponte sul fiume Taro (sarà a questo affluente del Po che allude la statua?), la restituzione di diverse opere d’arte, sottratte a Parma dalle truppe francesi, e l’invenzione di un nuovo metodo per estrarre lo zucchero dal miele. Suo figlio Valerio fu podestà della città, assassinato per motivi politici nel 1856.