Palazzo Giustiniani Baggio

Contrà San Francesco 41, Vicenza

Non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: dietro la facciata pulita e severa di Palazzo Giustiniani Baggio si nascondono appartamenti sontuosamente decorati, variopinti di affreschi antichi.

Da fuori però tutto questo non si percepisce: la facciata è spoglia e rigorosa, come voleva lo spirito del tempo in cui venne costruita. Come si può leggere nell’iscrizione posta sopra al portale d’accesso, l’immobile venne realizzato nel 1656 dal marchese genovese Raffaele Giustiniani, facoltoso e influente “figlio d’arte”… militare! Suo padre era il celebre condottiero della Serenissima Pompeo, detto Braccio di Ferro. Raffaele stesso si distinse sia in campo politico che sui campi di battaglia, e nel 1633 venne nominato Governatore di Vicenza. Appena trasferito per assumere il nuovo incarico, si stabilì un appartamento in affitto. Dopo qualche anno però volle edificare la propria residenza, necessario status symbol dell’uomo di successo.

Assunse a questo scopo Antonio Pizzocarro, architetto emergente ma ben quotato, che aveva già lavorato sia per l’amministrazione pubblica sia per clienti privati, aveva per esempio già disegnato Palazzo Ghellini. La scelta stilistica di Pizzocarro fu coerente al momento storico: il Cinquecento era stato davvero “il secolo d’oro” per Vicenza, ma già nei primi decenni del Seicento la situazione appariva decisamente cambiata. C’erano state le crisi agrarie, diffusa instabilità economica e sociale e anche una epidemia di peste, che tra il 1630 e il 1631 aveva causato la morte di 15mila abitanti. Non deve stupire se, in questo clima poco sereno, il ricco patrizio volesse una costruzione che apparisse all’esterno rigorosa e austera, disadorna e spoglia, e riservasse poi agli interni i preziosi abbellimenti.

Anche la presenza del giardino va considerata come un lusso privato, nascosto. Il figlio di Raffaele, che si chiama Pompeo come il nonno, e come il nonno venne avviato alla carriera militare, nel 1665 dichiarò di possedere un «casamento con corte, horto e brolo». Bisogna quindi immaginare un primo cortile d’onore, di rappresentanza, un giardino formale e un frutteto, spazio che all’epoca non avvicinava la città alla campagna, tutt’altro: connotava in modo elegante le residenze più abbienti.
L’umanista Enea Arnaldi, che nel 1779 raccolse in un libro le architetture più rilevanti del territorio, descriveva gli scoperti del palazzo così: «sono pure stimabili le sue adiacente, consistenti in un magnifico cortile, e di una estensione riguardevole di terreno, che porta molto decoro e molta utilità a’Padroni».

Fotografie del fotoclub Il Punto Focale

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