Palazzo Gatti
Casazza
Corso della Giovecca 157, Ferrara
La città è costruita su arterie che si percorrono periodicamente, immancabilmente: alcune assi viarie non possono essere evitate.
Corso Giovecca è tra queste: per un ferrarese è talmente un’abitudine che spesso alla sua bellezza non ci fa nemmeno caso. Eppure, nella teoria di palazzi che si sussegue dal Castello Estense alla Prospettiva si possono incontrare elementi speciali. Uno di questi si trova al civico 157: Palazzo Gatti Casazza.
L’edificio venne costruito tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, fu abitato dal 1881 al 1918 da Stefano Gatti Casazza, che gli diede il nome. Prima garibaldino, poi eletto deputato e senatore del regno, infine direttore del Teatro Comunale di Ferrara, è ricordato dalla lapide posta sulla facciata. La costruzione è particolarmente ampia e alta, dalla strada non si può nemmeno immaginare che esista un giardino oltre il portone, eppure c’è. Vi si accede lentamente, bisogna prima attraversare lo spazioso androne d’ingresso, poi lo scoperto circondato dalle costruzioni basse, riservate una volta agli ambienti di servizio e alle stalle. Una cancellata sorretta da imponenti colonne, anticipata da grandi vasi di fiori, accoglie il visitatore con un benvenuto quasi formale.
Il boschetto a cui permettere di accedere è di carattere completamente diverso: esplosivo, pervasivo, gioioso, tutt’altro che distaccato. Si inizia l’esplorazione seguendo il percorso, spazioso ma appena tracciato, che accompagna verso l’interno. A sinistra alcuni vasi di fiori e una fila di antiche palle di cannone indicano la direzione, attorniati da varie specie arboree: la palma, l’acero platanoide, l’acero negundo, l’ippocastano. A destra il terreno cresce a formare una piccola collinetta, sotto la quale una volta si trovava la ghiacciaia. Il tappeto di edera e gli arbusti che circondano il vecchio bagolaro, le cui radici si infilano sotto al vicino muro di cinta, sono la dimora abituale di Gelsomina, tartaruga di terra che da 89 anni vive lì. Accompagnano il maestoso esemplare i tassi, le magnolie, il gingko biloba centenario. Al centro dell’area, sola e meditativa, si trova la statua di una ragazza, forse una contadina. «Con il terremoto è caduta e si è rovinato il volto, poi un ragazzo che tagliava il prato l’ha urtata e si sono rotte anche le braccia» racconta Teresa, la custode, che per riparare i danni ha addobbato la figura con rami e fiori. In fondo la siepe di lauro ceraso impedisce l’accesso alla seconda porzione del giardino, attualmente in corso di ripristino.