Palazzo Festa Marzotto
La nascita di questo giardino è legata al progetto e all’amore per la natura di Norberto Marzotto, studioso di agronomia e ampelografia, sindaco di Vicenza dal 1902 al 1906.
Il catalogo delle sue pubblicazioni è a dir poco florido: pubblicò oltre 150 libri, dedicati alle nuove tecniche per l’agricoltura, alla classificazione dell’uva da mensa e da vino, alla classificazione delle succulente.
Questa passione lo ha motivato, negli anni Ottanta, a intervenire e modificare l’antico brolo di famiglia, nel quartiere di Santa Caterina. L’interesse per le scienze naturali lo ha spinto, per realizzare questa piccola ma grande impresa, a mettersi in contatto con musei e orti botanici di tutto il mondo. A poco a poco agli alberi già presenti si aggiunsero moltissime altre essenze, provenienti dai paesi più disparati. Venne creata una meravigliosa area verde, con oltre duecento piante, distribuite secondo specifici criteri. L’obiettivo era creare un vivido gioco cromatico, ricco di colori e sfumature che mutano intensità, accendendosi e spegnendosi, seguendo i capricci dei raggi solari. Per questo vennero mescolate sempreverdi ed essenze a foglia caduca, scelte nella varietà ibrida più vivace. Per le bordure si scelsero le erbacee da fiore, per creare macchie ed impressioni diverse, che cambiano col trascorrere delle stagioni.
Il disegno dei sentieri ha completato l’opera, permettendo la visita dell’intero parco in un’alternanza di luci e ombre, proiettate dalle chiome più grandi.
«Questo giardino è giunto a noi come un patrimonio che nasconde in ogni angolo, in ogni singola essenza, il respiro, il lavoro incessante e l’amore di un uomo fantastico, che ha dedicato tutta la vita alla cura di questo polmone verde», racconta il nipote.
Dopo Norberto il testimone è passato al figlio Arnaldo, che ha continuato la manutenzione e la cura dello spazio, che tuttavia ora appare decisamente ridimensionato. In origine il parco confinava con viale Risorgimento, verso Monte Berico: in quell’area era stata avviata una coltivazione sperimentale con oltre cento varietà di vitigni e più di cinquanta alberi da frutto, sia autoctoni che importati. Serviva a testare ciò che poi sarebbe stato piantato nei terreni di proprietà, in Veneto e in Friuli. Sono stati due espropri a determinare lo smantellamento della coltivazione: il primo è servito alla costruzione della linea della littorina, il secondo al raddoppio delle linee ferroviarie.
«L’impegno di Norberto e di Arnaldo ci ha dato la possibilità di godere di questo bene prezioso; ora abbiamo il dovere e l’onore di proseguire il loro lavoro, sostituendo gli esemplari morti o ammalorati, piantando nuovi arbusti, erbacee e bulbose, per conservare lo splendore di un luogo a cui siamo più che affezionati».
Tra gli alberi ad alto fusto sicuramente valga la pena notare: il cedro deodara, il tasso baccata, il cedro della California e il faggio, molto particolare: il nome scientifico è Fagus sylvatic tricolor, le sue foglie vanno dal porpora, al rosa, al bianco.