Palazzo D’Arco

Piazza Carlo D’Arco 4, Mantova

In un contesto architettonico segnatamente rinascimentale come quello mantovano, punteggiato di corticelle e ordinati orti conclusi, lo splendido giardino romantico di Palazzo d’Arco può considerarsi un’invenzione recente, o quasi.

L’area si è composta come un puzzle, un pezzo alla volta. Nel Seicento la famiglia dei conti d’Arco, proveniente dal Trentino, iniziò a comprare edifici e terreni in questa parte di città, nell’antica Contrada della Serpe. L’elegante residenza neoclassica che oggi si affaccia sulla piazza fu progettata nel 1782 dall’architetto Antonio Colonna. Fu abitata fino al 1973 dalla contessa Giovanna d’Arco Cheppio Ardizzoni, senza eredi, che volle istituire una fondazione affinché le sue proprietà diventassero un patrimonio pubblico, da conoscere e valorizzare. Nacque così l’attuale Museo, che di sala in sala grazie alle sue straordinarie collezioni dipana un racconto che attraversa secoli di storia, incrocia le culture di paesi vicini e lontani, mescolando l’intimità della vita familiare alla raffinata testimonianza materiale, artigianale e artistica. Il giardino non si accompagnò subito al palazzo, che si concludeva subito dopo il cortile e l’esedra, con un muro dipinto a trompe l’oeil. Si realizzò a fine Ottocento acquistando un poco alla volta i terreni retrostanti, demolendo senza troppi scrupoli vari fabbricati, integrando nel progetto solo alcune porzioni delle precedenti dimore quattrocentesche. Le due palazzine collocate in fondo all’area sono state ricavate in quell’occasione, estrapolate da un’abitazione appartenuta alla famiglia Gonzaga. In una si può ammirare la dello Zodiaco dipinta nel 1518 da Falconetto, nell’altra – oltre agli affreschi rappresentanti scene di vita agreste – si incontra il gabinetto scientifico di Luigi d’Arco, botanico e appassionato naturalista, attento osservatore e catalogatore di minerali, conchiglie e scheletri animali, erbari vegetali. Tra gli alberi spiccano alcuni esemplari secolari, già presenti nell’Ottocento, come i grandi tassi. Più giovani sono, dietro l’esedra, i bagolari, la magnolia, il melograno, i pini domestici, gli arbusti di aucuba, di ligustro e di agrifoglio.

La zona che maggiormente conserva il carattere spontaneo e movimentato del disegno originale, ispirato alla moda inglese, è quella dove crescono gli olmi, le sofore, il tiglio, il mirabolano, i noccioli, i ligustri e il lauroceraso. Alcuni marmi e un grande pozzo scolpito, appartenenti alla residenza dei Gonzaga, biancheggiano tra le edere. Il percorso prosegue verso le aiuole tratteggiate di bosso, dedicate alle essenze aromatiche e officinali. Continuando verso il muro di cinta si arriva al brolo, con i tradizionali alberi da frutta. Da non perdere il giardino d’inverno, dove si riparavano durante i mesi più freddi gli agrumi. Danneggiata dal terremoto, l’orangerie è rimasta per lunghi anni inagibile ma oggi – grazie a un importante recupero – è di nuovo visitabile. Al suo interno spicca la bella fontana che assomiglia a uno stagno in miniatura, circondato dal tufo, dove nuotano tranquille le tartarughe. Oltre ai vasi in terracotta decorati con satiri e fauni, colpisce la grazia della bella tuffatrice, scultura in bronzo realizzata da Odoardo Tabacco nel 1878.

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