Palazzo Caracciolo

Via Borghetto 33, Piacenza

Palazzo Caracciolo venne costruito agli inizi del Seicento dall’omonima famiglia, o meglio: da uno dei suoi cadetti.

I Caracciolo, originari dal Regno di Napoli, avevano all’epoca molte ramificazioni nel meridione e i cadetti, ovvero i membri discendenti dai rami secondari, non potevano contare su rendite e terreni: dovevano autonomamente provvedere alla propria carriera. Per questo Antonio Caracciolo nella seconda metà del Quattrocento decise di trasferirsi nel Ducato di Milano, all’epoca governato dagli Sforza, e di proporsi come capitano di ventura. Inviato a Piacenza in qualità di comandante delle milizie sforzesche, trovò qui non solo il lavoro, ma anche l’amore. Si sposò con Bartolomea Anguissola, erede di un’importante dinastia locale, titolare del feudo di Pradovera, in alta Val Nure. Inizialmente lui e i suoi discendenti non abitavano in città ma nel Castello di Statto. Fu il conte Francesco a prendere la decisione di risiedere in centro, e ad acquistare in via Borghetto le case della famiglia Gonfalonieri, e fu suo nipote Ottaviano a comprare i lotti adiacenti per costruire ex novo il magniloquente palazzo.

Nonostante l’ingente impegno economico – fu infatti necessario vendere il feudo di Casaliggio, per sostenere le spese del cantiere – il progetto si rivelò talmente ambizioso da dover restare incompiuto. Alla fine del Seicento la proprietà aveva grosso modo la stessa struttura che ha oggi, con il primo cortile d’onore a cui si accede tramite il porticato e un secondo cortile più rustico, dedicato all’orto botanico, dove ora si incontra il giardino. Il disegno dell’area verde ricorda quello dell’hortus conclusus, con i viali perpendicolari che si incrociano al centro, dove è collocata la vasca con i pesci rossi, e in epoca neoclassica sono testimoniate qui anche una grande serra e un caffeaus circolare. I Caracciolo abitarono qui per trecento anni circa, fino alla loro estinzione, avvenuta nel 1896. Vi furono poi vari passaggi di mano.

Oggi in giardino si incontra una bella siepe di caprifoglio, due romantiche gallerie fiorite, di gelsomino, glicine e rose, esuberanti bordure di acanto, cespugli di ibisco e nandine, un piccolo pergolato di edera. Tra gli alberi il filadelfo, il caco, gli anziani ciliegi – uno produce ottime ciliegie dolci, uno duroni. Vicino al muro di cinta crescono grandi alberi di alloro, alcuni dei quali sono caduti a causa della forte nevicata del dicembre 2022, altri hanno dovuto subire poi importanti potature. La stessa nevicata ha danneggiato parzialmente anche l’oleandro, e si può osservare sui rami mancanti la traccia azzurra del fosfato, applicato per evitare che dalla ferita si propagassero malattie. Sotto al melograno da fiore sono disposti alcuni sassi raccolti dall’attuale proprietaria in Val Trebbia, delicato tumulo casalingo per ricordare il gatto venuto a mancare. Da notare la presenza di due differenti specie di calicanto: l’invernale, più comune, e l’estivo, che fiorisce in aprile con una bella sfumatura purpurea. 

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