Palazzo Brusarosco Zaccaria
A Palazzo Brusarosco alcuni sogni si sono avverati, altri no.
Il sogno non avverato è quello del giardino progettato da Carlo Scarpa per l’avvocato Ettore Gallo, che negli anni Sessanta aveva comprato l’immobile e il parco. L’edificio era molto antico, la prima costruzione risaliva al Cinquecento, ed era stato più volte rimaneggiato. L’architetto veneziano venne chiamato per risanare i danni prodotti dalla guerra: una bomba aveva centrato il tetto e compromesso la stabilità dell’intero edificio, che andava consolidato e in parte ricostruito. Scarpa fu delicato e discreto nel ripristino delle parti storiche, come l’androne colonnato, dove la sua mano si riconosce nel disegno delle travi metalliche, poste a rinforzo del solaio. Fu decisamente più libero ed espressivo al secondo piano, quello devastato dall’ordigno. Il rifacimento del giardino avrebbe dovuto completare l’intervento, ma il disegno restò solo sulla carta, un elaborato schizzo realizzato a matite e pastelli.
Chiudiamo gli occhi e proviamo a immaginare? Il parco è tagliato da una vialetto che parte dall’androne affacciato su contrà Santa Croce e arriva fino alla recinzione. Qui una volta passava la Seriola, corso d’acqua interrato negli anni Trenta, il cui tracciato si può intuire dal leggero dislivello del terreno. L’idea era probabilmente quella di portare a Vicenza, idealmente, la tipica composizione della casa veneziana, con la porta di terra in rapporto lineare con la porta di mare. Nella porzione di terreno a sinistra cresce un piccolo orto. Sulla destra invece l’area ha carattere boschivo ed è solcata da sentieri curvilinei. Ai grandi alberi esistenti – alla metasequoia, al faggio e ai cedri – si affiancano nuove essenze: il melograno, che rappresenta la transizione tra occidente e oriente, piante forestali come l’ippocastano rosso, tipico del giardino ottocentesco, e tanti fiori profumati: di glicine, caprifoglio e osmanto.
Non manca l’acqua, elemento cruciale dei giardini scarpiani: il camminamento principale è affiancato da un canaletto, da cui si dipartono altri piccoli canali che finiscono in vasche a centri concentrici. C’è anche un’altra vasca, più ampia, sempre sulla destra, con due bacini rettangolari sovrapposti.
Ecco, se apriamo gli occhi ci accorgiamo che di tutta questa fantasia l’unico elemento effettivamente realizzato è la vasca rettangolare. Ma per un sogno fallito, fortunatamente, c’è un sogno realizzato.
Palazzo Brusarosco deve il suo nome al proprietario che, nell’Ottocento, attribuì all’immobile le fattezze attuali: fu Orazio Brusarosco nel 1833 a incaricare l’architetto Tommaso Becega di realizzare una nuova facciata, con il portone tuscanico che tuttora contraddistingue l’ingresso. In città tuttavia l’edificio è conosciuto con un altro nome: La Vigna.
Come mai, visto che di viti in giardino non se ne vede nemmeno una? Il segreto è custodito al primo piano, dove si conserva la più grande e completa biblioteca del mondo dedicata all’enologia e all’agricoltura. Oltre 60mila volumi, che risalgono il corso del tempo come salmoni. Qui si possono leggere le ultime e più aggiornate pubblicazioni di settore, come pure consultare le prime edizioni di veri e propri classici, come il De naturali vinorum historia, scritto da Andrea Bacci nel 1596, e Il Canapajo di Girolamo Baruffaldi, del 1741.
Questo è il sogno, realizzato, dell’imprenditore e uomo d’affari vicentino Demetrio Zaccaria. Nato nel 1912, Zaccaria era il figlio del droghiere di Porta Padova. Fece fortuna dopo la Seconda Guerra Mondiale: aveva imparato l’inglese ad Addis Abeba, dove per quasi cinque anni era rimasto prigioniero in un carcere britannico, e sfruttò questa conoscenza e le sue precedenti esperienze nel mondo del commercio per diventare consulente di grandi aziende internazionali. La conoscenza delle lingue fu fondamentale per la sua carriera, ma il suo motto era in dialetto: Tasi, varda, impara. Comprò il primo libro dedicato al vino nel 1951, a New York: voleva fare bella figura con i clienti stranieri, che si rivolgevano a lui – in quanto italiano e soprattutto in quanto veneto – per farsi consigliare bottiglie e annate. Da quel primo volume nacque una passione irrefrenabile, una sete di conoscenza che lo portò a instaurare importanti legami con i maggiori centri di ricerca europei e americani, e ad acquistare – cercandoli con puntiglioso scrupolo – i 10mila volumi che divennero poi il primo nucleo della biblioteca.
Avvicinandosi alla vecchiaia Zaccaria si impegnò affinché questo patrimonio potesse diventare pubblico e condiviso, quindi nel 1991 donò al Comune sia la raccolta che il palazzo destinato ad ospitarla, e fondò per la loro gestione il Centro Studi – Biblioteca Internazionale La Vigna, imprescindibile punto di riferimento per chiunque nei cinque continenti abbia interesse per l’enologia e le scienze agrarie.
Sono molte le realtà del territorio che negli anni successivi si sono affiancate all’istituzione per sostenerla e aiutarla, sia nella valorizzazione della prestigiosa sede che nell’organizzazione di attività divulgative. Oggi l’ombroso giardino è curato dall’associazione Amici dei Parchi.