Palazzo Bertamini Lucca

Via Sopramuro 60, Piacenza

La zona di Via Sopramuro in passato era famosa per essere una specie di colonia ligure: abitavano qui molti commercianti genovesi, che si erano trasferiti a Piacenza per affari, e proprio a una loro confraternita si deve la costruzione della vicina Chiesa di San Giorgio.

Anche i Bertamini provenivano dalla città portuale e volevano stabilirsi in città, per questo comprarono il palazzo che conserva il loro nome: per potersi insediare era obbligatorio acquistare o costruire una residenza di un certo valore. Ottennero la cittadinanza piacentina nel 1675 e nel 1702 vennero creati nobili. Mantennero l’abitazione fino ai primi dell’Ottocento, quando vendettero sia l’immobile in centro, sia la residenza di campagna che avevano a Fiorenzuola. L’immobile fu dunque oggetto di una serie di compravendite, passò al cavaliere Lucca, alla famiglia Prati, ai Verani, infine ai conti Manfredi. L’edificio, progettato secondo il consueto schema a U, offre alla strada una semplice facciata in cotto. Verso il cortile interno si apre il porticato al piano terra, a tre fornici, con belle colonne di granito rosa, e il loggiato al primo piano. Da ammirare il cancello in ferro battuto, decorato col giglio farnesiano. Dal fondo del cortile inoltre vale la pena alzare gli occhi alla torre, che ricorda il periodo medievale e le frequenti guerre intestine che scagliavano una casata contro l’altra, motivando l’edificazione di torri senza finestre, con un unico ingresso, dove rifugiarsi in caso di attacco. Sulla sinistra svetta invece il belvedere, struttura decisamente più rilassata come spirito e funzione, molto di moda tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento: serviva unicamente per godersi una piacevole visuale a 360° sui tetti circostanti.

Al centro della corte si trova la curiosa statua di un putto a cavallo di un mostro marino, che assomiglia a un incrocio tra un delfino, una tartaruga e un draghetto, con la coda a forma di foglia. ll giardino offre una scenografica quinta vegetale a questa tenera e buffa scultura. Delimitato a destra da una siepe di aucuba, vi crescono il pungitopo, il tiglio, il biancospino, le rose, le ortensie, l’acero giapponese, il lauro, il bagolaro, i cespugli di bosso, il ligustro che purtroppo non sta bene. L’abete fu piantato dal trisnonno dell’attuale proprietario ed è dunque molto anziano, ma non quanto il tasso, che avendo spento più di 350 candeline è riconosciuto per essere, tra i suoi simili, l’esemplare più vetusto della città. Il muro di cinta risale all’Ottocento: una volta era decorato con un affresco – oggi scomparso, ma di cui si conserva il bozzetto – raffigurante un castello neogotico, con tante torrette che andavano a coincidere con le merlature reali. In mezzo ai rampicanti spicca un mascherone del Seicento, posto sopra una vasca più antica, datata 1413.

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