Palazzo Beccaguti Cavriani
Via Mazzini 34, Mantova
Dall’arte della lana all’arte contemporanea. I primi abitanti di questo elegante palazzo sono stati in epoca rinascimentale i Beccaguti, famiglia della Valcamonica affermatasi grazie all’abilità del mercante Anselmo, insignito del titolo di rettore dell’arte della lana tra il 1478 e il 1494. Gli abitanti attuali invece si occupano di design, di architettura e nel senso più ampio del termine di creatività, per questo hanno inventato la galleria DiSegno e dedicato parte dello spazio all’esposizione di opere contemporanee.
Cos’è successo nel mezzo? Il figlio di Anselmo, Alessandro detto Alessio, si dedicò alla carriera militare: fu ingegnere civile e comandante per Ferdinando Gonzaga e viene ricordato come uno degli eroi della battaglia di Fornovo. Proprio grazie al suo valore riuscì presto ad accrescere le proprie ricchezze e nel 1500 completò e abbellì la struttura, non senza metterci del proprio in termini di competenza tecnica e stile. La possenza dell’edificio ricorda gli imponenti bastioni costruiti da Alessio nella zona del Gradaro e di fronte all’isola del Te, commissionati da Federico II. I Beccaguti abitarono qui fino alla fine del Seicento ma già nel 1649 l’ultima discendente vendette la cappella privata ai padri Carmelitani Scalzi, che iniziarono a celebrare messa e progressivamente si insediarono nei terreni attigui dove edificarono la Chiesa di Santa Teresa.
Quando nel 1734 la proprietà passò alla potente famiglia dei Cavriani, il marchese Antonio volle ripensare il complesso e chiamò a condurre i lavori Alfonso Torreggiani, lo stesso architetto a cui fu affidata l’importante residenza di via Trento. Per sfruttare la vicinanza del tempio si costruì un passaggio in legno, che collegava il piano nobile al palco interno alla chiesa. Il corridoio, lungo circa due metri, è stato demolito con l’ultima ristrutturazione, quindici anni fa.
I lavori iniziarono nel 2001 e nel 2004 si inaugurò la straordinaria commistione tra abitazione, galleria e studio che oggi si può apprezzare in occasione dei vernissage. Le opere d’arte trovano casa in una porzione del vecchio cortile, di cui resta un anziano abitante: il glicine centenario che continua a espandersi verso il cielo, protetto a terra da una struttura in vetro, mentre le radici si allungano nel chiostro del vicino convento. Lo si può vedere spuntare, insieme agli oleandri della terrazza, dall’interno della corte. Il giardino, a cui si può accedere anche scendendo nelle fascinose gallerie sotterranee, è stato realizzato ex novo, assecondando il gusto minimal che contraddistingue gli interni.Per disegnarlo fu necessario fronteggiare una vera e propria selva: poco restava dell’originale impianto all’italiana, se non qualche traccia delle aiuole e quattro grandi abeti. L’area è stata sfoltita per essere utilizzata più comodamente e per garantire una buona luce alle sale del pianterreno. La memoria degli abeti è stata affidata a un solo esemplare, a cui fa compagnia la magnolia. Sul fondo cresce un boschetto di bambù, contenuto da un muretto inserito nel terreno, che scende fino a un metro e mezzo di profondità. A destra, vicino alla piscina rettangolare, alberi e fiori in vaso creano con l’alloro e l’oleandro una macchia movimentata, protetta dalla tappezzeria di edera. Un altro splendido glicine incornicia l’ingresso e sale fino al balconcino. In fondo, a due passi dal tavolo in pietra di epoca rinascimentale, si trovava fino a poco tempo fa un bell’esemplare di censis australis, vecchio di due secoli, abbattuto purtroppo da un temporale.