Palazzo Alinovi
Borgo Santa Chiara 4, Parma
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In borgo Santa Chiara si trova un bellissimo giardino, che custodisce una storia ancora più bella. Il palazzo pare appartenesse al convento delle francescane, affidato poi alle monache velate di Santa Chiara, di cui la strada conserva il nome.
Nei secoli fu oggetto di vari rimaneggiamenti, che fanno ipotizzare in periodo rinascimentale la presenza di un hortus conclusus e in seguito la riorganizzazione del fabbricato, con l’aggiunta di un ulteriore spazio verde, con un labirinto di siepi. A metà Settecento la proprietà è attribuita ai fratelli Pannoni della Congregazione della Carità, famosi soprattutto per le lenti e i telescopi realizzati dal cappuccino Giuseppe – fornitore, si dice, della stessa duchessa Maria Amalia.
All’inizio del Novecento abitava qui la famiglia Alinovi. L’ultima erede, senza figli, si chiamava Nera. Suo marito, Mario Roveda, fu colonnello e in seguito generale dell’esercito italiano. Alla fine degli anni Trenta il militare partecipò all’occupazione del Peloponneso e, avendo avuto occasione di apprezzare il vino greco, portò a casa una talea. Lo aiutò a farla crescere Giuseppe Baiocchi, viticoltore di Torrechiara, fratello della domestica che accudiva il palazzo. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il generale assunse il comando delle forze partigiane del Nord Emilia, e come sua staffetta personale scelse Ugo, il figlio dell’agricoltore Giuseppe, diventato con gli anni un vero e proprio amico. Il giovane si dimostrò all’altezza del ruolo e in diverse occasioni salvò la vita al superiore. Nel corso degli spostamenti tra la collina e la pianura, spesso capitò ai due di trovare riparo nella campagna di Praticello di Gattatico, ospiti della famiglia Ferrari. Qui Ugo s’innamorò di Rina, la figlia dei mezzadri. Terminato il conflitto i due si sposarono e – dato che per riconoscenza Ugo era stato affiliato alla famiglia Alinovi – la giovane coppia si trasferì a vivere in borgo Santa Chiara, dove tuttora abitano i suoi discendenti.
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Negli stessi anni, per necessità economiche, il generale e la moglie vendettero una parte del giardino, che in origine raggiungeva via Nazario Sauro. La vite messa a dimora tanti anni prima, dopo la morte del generale, venne sostituita con un roseto. Quando nel 1963 anche la signora Alinovi scomparve, inaspettatamente spuntò tra le radici del roseto un germoglio dell’antica pianta di Moscato di Candia, e si decise di restituirle spazio. Da quella volta, ogni settembre, si vendemmia l’abbondante uva prodotta dai tralicci. L’area fino agli anni Settanta era disegnata all’italiana, impreziosita da una vasca con fontana e pesci rossi. Quando il bosso si ammalò si decise di cambiare l’intero impianto. Ora vi crescono l’alloro e il kaki, entrambi decisamente vetusti, il ciliegio, il glicine, il corbezzolo, le ortensie, il rosmarino e l’ibisco. In vaso si trovano le piante grasse, i cactus, i limoni, l’ulivo, la salvia, i gerani, gli oleandri, le primule, le bouganville e i tulipani.