Orti sociali di Porta Giulia

Strada Montata 4, Mantova

Quando lo scrittore Charles Dickens soggiornò a Verona, trovò il tempo per una piccola gita. Scriverà nelle sue memorie di essere arrivato «at the rusty gates of the stagnant Mantua», ovvero: alle porte arrugginite della stagnante Mantova.

Difficile coniugare questa deprimente seppur suggestiva immagine con l’oasi di verde e bellezza che si incontra oggi in prossimità di Porta Giulia. Gli Orti Sociali si stendono placidi fino al lago, ronzanti di cicale, luccicanti di zucchine, melanzane e peperoni. Sono 44 gli appezzamenti affidati dal Comune, curati soprattutto dai pensionati che finalmente possono godere in tranquillità del tempo liberato dal lavoro, ma non solo. Poche attività sono capaci di avvicinare persone provenienti da culture e tradizioni diverse, come la coltivazione dell’orto. La finalità è evidente: ottenere buona e abbondante verdura. Il mezzo è misterioso: ogni orticoltore ha elaborato una propria strategia. Sperimentazione, verifica ed eventuale rettifica sono delle costanti.

Nell’orto non si smette mai di imparare, è molto più che un diffuso modo di dire. É una sofferta ma stimolante verità, che chiunque abbia avuto a che fare con afidi, formiche rosse, concimi ed infestanti ha avuto modo di verificare. Qualsiasi persona impieghi tattiche efficaci è un potenziale alleato o maestro. Camminando tra i sentieri che dividono i lotti – vicino all’area dedicata al compost, fornito gratuitamente dall’amministrazione – si può incontrare la prolifica produzione di cetrioli condotta dal collega rumeno, che riesce a far crescere degli esemplari giganti, di una specie mai vista prima, per lo meno sulla tavola mantovana.

Nel terreno impiegato dal collega filippino abbondano le zucche, mentre il pensionato che ha sempre abitato a due passi da qui abbina ai filari di pomodoro l’erba Luisa, per farci i liquori, e l’erba di San Pietro per il ripieno dei tortelli. Ogni orto mescola passato e presente: sapori di infanzia e nuovi gusti. In fondo al camminamento si trova una piccola radura, con la casetta in legno dove si riparano gli attrezzi comuni, un tavolo e varie sedie per chi vuole fermarsi a fare due chiacchiere, all’ombra delle robinie e del grande noce. Il panorama di fronte è da cartolina: oltre la vasta distesa d’acqua del lago, si stagliano i profili della cupola di Sant’Andrea, del cupolino di Santa Barbara e della Torre della Gabbia. «In realtà il noce non andrebbe piantato vicino alle coltivazioni, perché per proteggersi rilascia nel terreno delle sostanze tossiche che uccidono le altre piante, ma i primi anni tutti volevano piantare il loro alberello, anche se non si poteva…» racconta Lino, che ha cominciato a zappare qui da quando gli orti sociali hanno aperto, nel 1993. «Qualcuno ogni tanto lascia perdere, perché magari non sta molto bene, ed è per questo che si incontra qualche piazzola selvatica. Questo posto è frequentato anche da vari ragazzi di 90 anni!». Il suo orto si trova esattamente dalla parte opposta dell’area, rispetto alla casetta. Lo si riconosce subito perché, per rispettare il divieto di piantare alberi e riuscire comunque a portare a casa dei bei grappoli d’uva, ha fatto crescere le viti nei vasi.

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