Lungo la strada della Carpaneda – tra le lunghe distese dei campi – non mancano orti e giardini privati. Vigneti casalinghi e abbondanti roseti occhieggiano lungo via, macchiando di colore il paesaggio agreste. Perchè dunque fermarsi proprio al civico 52?

Perché questo spazio, oltre ad essere bello da togliere il fiato, testimonia una passione e una curiosità botanica non comune. Dietro le chiome fastose e le macchie degli arbusti, dietro le siepi e le fioriture, c’è una mano sapiente e una mente caparbia, che sperimenta e impara, e rinnova e riprova, semina e osserva.

Il giardino è più giovane di quello che sembra: è stato creato negli anni Ottanta. Tuttavia degli alberi piantati inizialmente ne è rimasto in piedi solo uno. Racconta Rosanna, la proprietaria, che i lavori vennero svolti in autunno, in giornate particolarmente fredde. Venne chiamato un escavatore per creare i buchi ma la terra era dura, difficile da rompere. Vennero messe a dimora varie conifere, pini austriaci, ma non si salvò nessuno o quasi. L’unica superstite infatti è la meravigliosa metasequoia, che merita un (ossequioso) saluto.

Citare in modo esaustivo le specie che popolano questo denso microcosmo sarebbe impossibile. Sperando di non offendere nessun esemplare, si può notare nella prima porzione di prato – quello che guarda verso la strada – il grande faggio rosso. Proseguendo sulla destra crescono le acacie e i tigli, dove vale la pena cercare una varietà particolare: ha foglie dentellate e fiorisce in piena estate.
Sul pendio che porta all’abitazione c’è anche una piccola zona umida, un laghetto con le ninfee e il papiro, vicino alla palma.

Sul retro si trova il vecchio fienile, preceduto dagli agrumi in vaso, incorniciato dalla bignonia. Sotto il loggiato si incontrano vecchi attrezzi agricoli, antichi calessini in legno. A ben guardare si scopre anche una campana in ferro che ricorda, per grazia e semplicità, gli affusolati campanili di campagna. Restando sulla destra, sorpassato il bambù e gli alberi della nebbia, si trova il pollaio abitato da pulcini e galline. Poco più in là, appartato e indisturbato, il fascinoso acero negundo, umido di muschi.

Qui più o meno finisce il giardino. Oltre il cancello infatti si apre il frutteto e ancora oltre l’arboreto, abbondante e non addomesticato. Tuttavia di recente anche quest’area “extra moenia” ha iniziato ad essere oggetto di speciali attenzioni, ovvero nuove piantumazioni. Un allium qui, un settembrino lì, una verbena là. Lo spazio c’è, perché non approfittarne?

Tornando verso l’edificio si apre il prato grande, con la curiosa barchetta altalena e la casetta degli attrezzi che sembra abitata dagli gnomi. Da qui si accede all’orto, disegnato per aderire il più possibile a un ricordo affettuoso, ovvero all’orto coltivato dai nonni appena fuori Ferrara. Ci sono la vasca e il tavolo di pietra, per lavare e lavorare le verdure. Ci sono i cassettoni in legno, divisi dai sentieri, i seggiolini per fermarsi a prendere fiato, e la fontana centrale. Geometria, funzionalità e nostalgia: non manca nulla.

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