Istituto San Vincenzo

Piazza Ariostea 10, Ferrara

I ferraresi che da piccoli hanno frequentato l’asilo dell’Istituto San Vincenzo questo giardino dovrebbero ricordarlo: arioso e ricco, distribuito geometricamente in vaste campiture bordate di iris e di rose, attraversato da passaggi lastricati e da una lunga fila di sedute in pietra, appoggiate su piedi di leone scolpiti.

Le Suore della Carità vivono a Ferrara dal 1843, da quando l’arcivescovo Cadolini volle chiamare in città un ordine di religiose attive per far fronte alle numerose emergenze sociali di quegli anni: guerre, inondazioni ed epidemie avevano infatti moltiplicato il numero di poveri, malati, orfani e donne costrette alla prostituzione. Non mancavano in città le fondazioni religiose femminili, ma fino a quel momento comprendevano solo la clausura, per questo le Suore della Carità – chiamate inizialmente “suore del brodo e delle piccole scuole” – rappresentarono un grande cambiamento. L’imponente Palazzo Rondinelli, affacciato sul prato di piazza Ariostea, venne loro venduto assieme al relativo orto nel 1873. 

Inizialmente le sue sale ospitarono un educandato e alcune scuole esterne, poi il noviziato – che restò attivo fino al 1972. All’esterno – nell’impianto di un classico giardino all’italiana – si coltivavano i meli, i pruni, i peschi e le viti. Oggi parte dell’edificio – e del relativo giardino – è adibito ad asilo, parte è rimasto alle sorelle che vivono qui, attualmente solo sei. «Una volta coltivavamo l’orto ma eravamo in tante, non bastava per tutta la comunità, era più che altro un piacere», racconta suora Annamaria, che si è trasferita qui nel 1954, mentre con i guanti da lavoro sistema i nuovi fiori nei vasi. «Tante di noi sono state trasferite in altre strutture, altre sono state trasferite in paradiso. Io sono sempre rimasta qui, ma negli anni Settanta poi ci fu una vera e propria emorragia, tutte volevano andare in missione». E proprio da una missione arriva il cedro del Libano, messo a terra una quindicina di anni fa.  «Era piccolino quando ce l’hanno portato, ha fatto fatica all’inizio ad ambientarsi ma poi una volta partito non si è più fermato».

In giardino si incontrano i grandi tigli, gli oleandri, le palme, i pini, i nespoli giapponesi, i giuggioli, i calicanto invernali, le magnolie, i bagolari, gli allori potati a cupola che affiancano il palazzo. La vasca che conteneva i pesci rossi è stata interrata e decorata con cespugli di rose. La prospettiva – uscendo dall’edificio e inoltrandosi verso l’interno – incontra i due archi avvolti nel glicine e nelle rose, per concludersi nella grotta che custodiva originariamente la statua della Madonna, spostata perché insidiata dall’edera. Tra le statue disseminate qua e là vale la pena notare il busto della fondatrice dell’istituto, Aragona Gizzi, quella più piccola e delicata del Santa Bambino di Praga e la scena che rappresenta Santa Agostina Pietrantoni nell’atto di curare un moribondo.

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