Impianto idrovoro di Sant’Antonino
Via Comacchio 448, Cona, Ferrara

L’impianto idrovoro di Sant’Antonino conserva il ricordo del monastero agostiniano, attivo dal 1278 al XV secolo, la cui dedica resta particolarmente suggestiva: Sant’Antonino infatti era un martire siriano del I secolo e gli unici due episodi significativi che si conoscono della sua vita, il miracolo e il martirio, sono accomunati dalla presenza delle acque, sorgive e di fiume.
La struttura venne inaugurata nel 1924 per servire circa 3mila ettari di terreno, al termine di un processo travagliato. I problemi di scolo erano oggettivi, tanto che nelle carte dell’Istituto Geografico Militare la zona veniva identificata come prato acquitrinoso, ricoperto dai muschi, con «flora assolutamente deficiente e copiosamente inquinata da cattive essenze». L’esigenza di bonificare non era solo economica ma anche sanitaria: la malaria era a tal punto diffusa che nelle stazioni di Gaibanella e Montesanto delle reti metalliche proteggevano i viaggiatori dalle zanzare e, quando finalmente iniziarono ai lavori, era indispensabile rifornire gli operai di chinino affinché non si ammalassero.
Il primo progetto per il risanamento fu presentato dal Consorzio al Ministero nel 1914 ma rimase in un cassetto a causa della guerra. Tre anni dopo però fu proprio il Ministero della Marina a spronare involontariamente l’operazione: voleva realizzare un nuovo campo di aviazione a Palmirano e predisporre in fretta la bonifica dei 150 ettari di terreno che andavano espropriati. L’idea era creare un piccolo argine attorno all’area e riversare le acque eccedenti nello scolo di Sant’Antonino ma l’ingegnere Giovanni Venturini — che all’epoca reggeva l’ufficio tecnico – colse la palla al balzo per chiedere un intervento più significativo, che comprendesse uno scolo meccanico e non solo il miglioramento della rete. Ma mentre la burocrazia procedeva lentamente il conflitto era finito e la Marina non aveva più necessità. Ciò che finalmente convinse lo Stato a intervenire fu la disoccupazione, nel 1920: per impiegare le persone si decise di avviare la parte più faticosa del progetto, ovvero lo scavo del Collettore Principale, che impegnava un gran numero di scarriolanti. Il piano fu varato nel 1922 e il collaudo delle opere arrivò nel 1927, con l’attivazione di tre pompe centrifughe in ghisa — di cui una danneggiata durante la Seconda Guerra Mondiale, con l’esplosione organizzata dalle truppe tedesche del vicino ponte ferroviario, e poi sostituita.
L’edificio — armonioso e luminoso, grazie alle ampie finestre del corpo centrale — oggi si trova all’interno di un parco di circa due ettari, definito dalle siepi di osmanto, ligustro, bosso, abelia. Il percorso di visita comincia sotto il pergolato ricoperto dal glicine e prosegue sul ponte che attraversa il canale, dove si arrampica la bignonia. Dall’altra parte si trova un vero e proprio laghetto, con tanto di salice piangente e pesciolini: sembra uno stagno ma non lo è, perché l’acqua al suo interno non è ferma, ma alimentata dal canale. Nei suoi paraggi vivono le anatre che di notte dormono vicino alle sponde, per mettersi in salvo nell’acqua nel caso dovessero essere attaccate dalle volpi. Proseguendo si arriva dietro la costruzione, dove sono state collocate nel 2013 tre nuove pompe verticali per potenziare l’attività delle tre originali. Il sistema che le controlla è automatizzato, si può controllare tramite il pc o il cellulare. Vicino alle pompe si trova il generatore Enel, fondamentale per quando salta la corrente, soprattutto d’estate: perché proprio quando è più caldo si rende più necessario il funzionamento dell’impianto e non si può rischiare che a causa di un temporale le pompe smettano di funzionare.
Il confine del parco coincide, dietro lo stabile, con la vecchia linea ferroviaria che collegava Ferrara e Codigoro, dismessa da molti anni. Sul retro si trova anche la casa del custode, ombreggiata dal vecchio ciliegio, con le galline e il cane.
Tra i progetti futuri per questo spazio c’è la realizzazione di una biblioteca e di un archivio dedicato alla bonifica. Entrambi sarebbero ospitati all’interno degli attuali ambienti di servizio, già decorati dal bassorilievo “Ninfe delle paludi”, creato dagli studenti del liceo artistico Dosso Dossi nel 2016.