Giardino D’Inverno

Via Marangoni 14, Mantova

Questo giardino è talmente inaspettato e stupefacente, nascosto e sconosciuto, che quasi varrebbe la pena non descriverlo nemmeno, per non rovinare l’incantesimo che suscita entrarvi senza avere la benché minima idea di cosa si andrà a incontrare.

Questa introduzione valga dunque da avviso: gli amanti delle emozioni improvvise sono invitati a non proseguire la lettura. La descrizione che segue servirà a chi preferisce sempre e comunque la consapevolezza, la possibilità di apprezzare ogni singolo dettaglio sapendo a monte cosa andare a cercare con gli occhi e dove. Percorrendo via Marangoni spesso ci si dimentica di passeggiare a fianco del rio, che si infila tra le abitazioni e si rende visibile solamente dai ponti alle estremità della strada. Attraversare il cancello al civico 14 significa innanzitutto ricordare questa fresca presenza: l’ingresso coincide con l’ariosa terrazza affacciata sull’acqua.

Sulla destra si può osservare una lastra di pietra levigata che sembra tagliare la corrente: fino agli anni Sessanta conteneva la ruota di un mulino, il cui perno si infilava nella casa di fronte. Sporgendosi un poco dalla balaustra inoltre si può scorgere il colonnato della vecchia lavanderia. A sinistra, attraversando il corridoio, si entra nel particolarissimo giardino, che assomiglia a una stanza naturale, pavimentata e coperta da un soffitto di foglie, creato dalla meravigliosa vite americana. Una sofisticata ringhiera apre l’affaccio sul rio. Sui due lati si sviluppa una concrezione grottesca, che sulla destra si apre in profondità amplificando l’illusione naturale. Questo luogo dal carattere silenzioso e meditativo – frutto dell’invenzione della bisnonna Ernestina – è stato realizzato nel 1851, come riporta la scritta inserita a mosaico nel lastricato, vicina allo stemma di famiglia, affiancata dalla sagoma di due uccellini bianchi.

La copertura originale era in cristallo, ma si ruppe con lo spostamento d’aria causato nel 1917 dall’esplosione della polveriera di Forte Pietole. Le rocce sono state modellate nella calce, con degli inserti di vere stalattiti, riconoscibili per il colore tendente al giallo. Al centro si trova la fontana, tuttora funzionante, scolpita come se fosse una roccia e impreziosita di conchiglie. Nelle aiuole circolari crescono gli ellebori bianchi, mentre nel basso vaso centrale la gardenia. Gli arredi sono coordinati al resto della struttura in ghisa, così come le lampade decorate con vetri colorati: si trovano adesso appoggiate a terra all’interno della finta cavità, poiché sostituite col passare del tempo da più pratiche lampadine: «facevano una luce rossa tanto triste», racconta Vanna, che abita qui da quando era bambina. La tradizione di inserire delle grotte artificiali all’interno dei giardini a Mantova è antica e documentata: tra gli esempi più celebri vale la pena citare a Palazzo Ducale la fontana «a montagna et mascheroni» realizzata da Facciotto per il giardino pensile, oppure le due fontane che si fronteggiano nella Sala dei Fiumi, costruite pare dal Bertazzolo, mandato appositamente alla ricerca di «cappe, madriperle e altre cose impetrite» a Ponzone di Monferrato. Anche nel giardino segreto di Palazzo Te Vincenzo I Gonzaga volle una grotta, e si fece inviare da Graz pietre e minerali. Non è dato sapere se la fantasia di Ernestina si sia accesa guardando questi modelli, o se invece sia stata ispirata da più moderne influenze francesi. Sicuramente vale la pena mandarle un sincero grazie. 

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