Galleria Ricci Oddi
Via San Siro 13, Piacenza

Dietro al miracolo della Galleria Ricci Oddi ci sono due nomi: quello dell’imprenditore Giuseppe Ricci Oddi, che negli anni Venti iniziò a ragionare sull’idea di rendere pubblica la propria straordinaria raccolta di opere d’arte, e quella dell’architetto Giulio Ulisse Arata, a cui venne affidato l’incarico di progettare lo spazio espositivo.
L’idea di aprire alla fruizione della comunità un bene privato non è banale, né dovrebbe mai essere data per scontata. Presuppone grande generosità e un’eccezionale sensibilità al trascorrere del tempo. Scriveva il collezionista nel 1919: «Chi ha la fortuna di possedere un dipinto che assurga alla importanza di vera opera d’arte, assume l’obbligo morale della sua più accurata e riguardosa conservazione; poiché l’opera d’arte è retaggio della storia ed il detentore (quanto spesso indegno!) non ne è se non il custode temporaneo».
Spingendo oltre questo proposito, quindi abbinando alla volontà di conservare la volontà di condividere, Ricci Oddi e Arata iniziarono a chiedere la disponibilità di vari palazzi nobiliari, per organizzare la galleria. Ed è interessante notare come, in questa fase preliminare di sogni e sopralluoghi, entrambi avessero in mente prima ancora della struttura l’area verde che avrebbe dovuto accompagnarla.


Scriveva Ricci Oddi nel 1921: «Preceduto da un verde tappeto di ben levigato prato e fiancheggiato ai due lati da folti ciuffi d’alberi vedo ergersi sulla platea bianca di una lieve marmorea gradinata il mio piccolo tempio». Lo stesso concetto si ritrova nelle parole di Arata, intervistato nel 1924 dalla stampa locale: «Ora cerchiamo l’area per il museo; vorrei trovare un giardino in modo che il palazzo al centro si raccogliesse quasi claustralmente e il verde degli alberi, anziché delle aiuole di uno stile vecchiotto, facesse una cornice ideale alle creazioni pittoriche». Nello stesso anno fu individuato il lotto giusto, concesso gratuitamente dal Comune. Comprendeva un grande terreno, in parte libero, in parte occupato da un convento cistercense andato distrutto e da una chiesa in rovina, dedicata a San Siro. In questo spazio multiforme fu realizzata la nuova struttura museale, che compone in un unico organismo l’edificazione ex novo e il recupero delle preesistenze.


All’inaugurazione, nell’ottobre del 1931, parteciparono tutte le personalità più influenti dell’epoca. Non mancarono alla prestigiosa cerimonia nemmeno i principi del Piemonte, Umberto e Maria José di Savoia. L’unico a mancare fu proprio Oddi Ricci, troppo schivo benché felice di aver portato a compimento ciò che considerava solo come il primo passo di un lungo percorso. Egli infatti concepì la galleria non come una fotografia statica del proprio gusto e amore per l’arte, ma come un organismo in crescita. Per questo alla sua morte, avvenuta pochi anni dopo, nel 1937, le attribuì tutti i suoi averi: denaro, azioni e persino i gioielli di famiglia.
Il verde circonda, oggi come allora, la costruzione. A dare il benvenuto ai visitatori è il grandioso glicine che incornicia l’ingresso. Si incontra poi, al centro del vecchio chiostro del convento, il melograno. Proseguendo si arriva ai tigli e ai cedri del Libano del Giardino della Memoria, parco pubblico inaugurato nel 2005, in una porzione di terreno separata dal complesso, che inizialmente raggiungeva lo Stradone Farnese. Ritornando verso via San Siro si trovano gli abeti, la magnolia, e l’esuberante lauro ceraso. Una nota a margine merita l’edera: è dietro le sue foglie che nel 2019 è ricomparso il Ritratto di Signora dipinto da Gustav Klimt, misteriosamente trafugato nel 1997. Per ben 22 anni il quadro è stato tra le opere d’arte più ricercate del mondo. A trovarlo sono stati i giardinieri impegnati nella manutenzione. Dietro il rampicante che cresce sulla parete successiva al chiostro, hanno notato uno sportellino metallico: dentro stava la tela, arrotolata in un sacco di plastica, perfettamente conservata.