Ex Ortaglia

Piazza Polveriera 7, Mantova

Come ad Alice basta un passo per cadere nella tana del Bianconiglio e approdare magicamente in un’altra dimensione, in piazza Polveriera basta sorpassare il cancello e il giardino fiorito di una insospettabile villetta per finire all’interno di un bosco misterioso, fitto e piacevolmente inquieto, ampio ma non illimitato, circondato da un muro.

Il bambù si è allargato e allungato a dismisura, tanto da potersi credere – con un piccolo sforzo di immaginazione – nella prima periferia di Kyoto invece che in centro a Mantova. A partire da una piccola pianta in pochi anni è cresciuta una selva, dove difficilmente si infila un raggio di luce.

Si è creato un vero e proprio tunnel di giunchi che a tratti lascia intravedere gli originali abitanti del posto, i fichi, i pioppi, alberi importanti con i tronchi completamente ricoperti di edera. Un grande ailanto buca la trama intricata della vegetazione e svetta verso il cielo. Il percorso che si inoltra tra le piante, selvatico e fascinoso, si conclude nel pacato giardino dove il viaggio è cominciato, tra le ortensie, i lillà delle indie, gli oleandri, la magnolia, il melograno da fiori e il giuggiolo centenario, di legno contorto e ricoperto di muschio. È qui che si incontrano alcuni indizi utili a capire quando è nata e a cosa serviva quest’area oggi tanto selvaggia quanto straniante, a due passi dalla trafficata via Garibaldi. Il bosco infatti è molto recente: in questo spazio fino agli anni Sessanta si coltivava l’ortaglia che serviva l’intera città, gestita dalla famiglia Leporati, che riforniva le bancarelle dei mercati e i negozi di verdure di stagione e primizie. La grande vasca in pietra, vicina al muro di cinta e attualmente interrata, serviva a raccogliere e a lasciare intiepidire sotto il sole l’acqua pescata dal pozzo, necessaria all’irrigazione, che non doveva essere troppo fredda per non bloccare lo sviluppo di carote, cavoli, radicchi e zucchine.

Sempre nella vasca si lavavano sommariamente i prodotti prima della vendita, i mazzetti di ravanelli e i cespi di insalata. L’attività si abbandonò quando l’agricoltura cominciò ad assumere caratteri intensivi: l’ortaglia tradizionale – con i suoi tempi e le sue abitudini – perse valore di fronte a un mercato proiettato in una dimensione nazionale e internazionale, con i prezzi al chilo dei prodotti che scendevano sempre di più. Si provò a cambiare coltura e si decise di destinare il terreno agli albicocchi, mettendone a dimora una cinquantina, ma vennero abbandonati negli anni Ottanta perché anche questa operazione si rivelò economicamente insostenibile. La superficie di circa 6mila metri quadri venne definitivamente riconsegnata alla natura.

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