Ex Convento di San Cristoforo
Via Madre Anna Maria Adorni 1, Parma
La storia del Convento di San Cristoforo – oggi sede del Gruppo Pizzarotti – è tinta di rosa. Il complesso infatti si è distinto nei secoli per aver riservato una particolare attenzione all’educazione femminile, e ripercorrere le sue vicende è utile per capire come la società parmigiana ha trattato un argomento scottante, ovvero quello delle giovani considerate “perdute”.
Fin dalla sua fondazione, avvenuta nella metà del Duecento per volere di Simone da Ranzano ed Egidio Bonino, il monastero assunse una missione chiara: ospitare una comunità di monache convertite. Ovvero di «femmine peccatrici corse a penitenza», come le definiva lo storico dell’arte Ireneo Affò, a fine Settecento, specificando: «accolte però dal Buon Vescovo, e ricoverate dove più non dovessi temere insidie alle loro fragilità».
La gestione fu affidata alle benedettine fino al 1363, poi passò alle agostiniane fino al 1854. Le sorelle vennero allontanate per un breve periodo a causa della soppressione degli ordini religiosi voluta da Napoleone, ma con la caduta dell’imperatore e l’assegnazione del ducato a Maria Luigia – cresciuta nella severa e cattolicissima corte asburgica – l’attività dell’educandato fu presto ripresa. Nel 1855, dopo una forte epidemia di colera che provocò scompensi economici e sociali in tutta la città, a porre nuovamente l’attenzione su questo luogo e sulla necessità di aiutare le ragazze in difficoltà fu Anna Maria Adorni, a cui è stata intitolata la via. Rimasta vedova, la benefattrice volle dedicare la sua vita alle giovani bisognose: visitava le carcerate, ospitava ed educava le bambine abbandonate, che vivevano di espedienti. Formò un gruppo di donne che condividevano lo stesso ideale e affittò un appartamento per aiutare le carcerate uscite di prigione a reinserirsi nella comunità. Nell’ex convento fondò l’Istituto del Buon Pastore, per il recupero delle fanciulle corrotte e ravvedute, attivo fino al 1989.
L’acquisizione da parte del Gruppo Pizzarotti è dunque tutto sommato recente, così come il minuzioso restauro che ha riportato in vita lo splendore dell’antico giardino rinascimentale. Il disegno dell’area è rimasto lo stesso, come si può notare osservando le piante settecentesche del Sardi. L’unica modifica accorsa riguarda il camminamento centrale, che una volta spaccava lo spazio in due rettangoli asimmetrici, sostituito da una divisione in quadranti, caratterizzati dalla colorata presenza delle tante varietà di rose. Da notare la bella vera da pozzo, le fontanelle e la cappellina presidiata dalle tuie, oltre ovviamente alla ricca composizione vegetale. Insieme alle palme e all’altissimo alloro, spicca la folta compagnia degli alberi da frutto: giuggioli, nespoli, ulivi, noccioli, meli, peri e kaki. Addossate ai muri crescono la lavanda, il rosmarino e le ortensie.