Delizia di Zenzalino
Via Zenzalino 23, Copparo

Purtroppo spesso il nome Delizia Estense appare fuorviante. L’immaginazione viaggia verso bucolici paesaggi agresti, eleganti architetture rinascimentali e giardini zampillanti di fontane e peschiere.
Poi ci si reca a visitare una celebre delizia e il volo fantastico… si schianta a terra, tra ruderi fatiscenti ed erba alta. Alcune residenze per fortuna negli anni sono state restaurate, ma sono felici eccezioni e spesso, per quanto l’iniziativa di recupero sia preziosa e lodevole, non riesce a restituire per intero la bellezza del sogno. Il tempo non scorre senza lasciare dietro al proprio rotolio detriti e tracce. Degli spropositati giardini di Belriguardo non è rimasto nulla, al posto delle aiuole e dei sentieri dietro alla struttura si aprono a ventaglio infiniti frutteti. Il Benvignante, attualmente accantierato, senza dubbio uscirà dall’operazione di ripristino migliorato e soprattutto accessibile, ma non recupererà mai gli affreschi voluti da Borso d’Este per il proprio protetto, Teofilo da Calcagnini. Restano luoghi di grande fascino, testimoni di un passato di fasti e svaghi cortesi, commoventi vestigia che arricchiscono e identificano in modo inequivocabile la pianura ferrarese. Ma il peso degli anni e dei secoli, che piano piano sgretola i mattoni e inselvatichisce i prati, non si elude, non si evade… quasi mai.


Anche a Zenzalino il tempo passa, ma sembra decisamente più lieve, una brezza dolce.
La tenuta ha origini antichissime, le prime testimonianze risalgono al XII secolo e raccontano un ambiente paludoso, costellato di acquitrini e ricco di fauna selvatica. Il nome infatti sembra possa derivare dalla decisa frequentazione dei cinghiali.
Del palazzo si ha notizia a partire dal 1434, con la concessione del feudo a Bartolomeo Pendaglia, noto tra i suoi contemporanei come “l’uomo più ricco e generoso di Ferrara”, vicinissimo al marchese Nicolò III. Non era nobile ma in pochi anni riuscì a scalare i vertici dell’amministrazione estense, e fu tra i primi committenti del Rinascimento a capire quanto contassero l’architettura e l’arte per promuovere la propria carriera e ascesa sociale. La sua residenza estiva non poteva sfigurare a confronto con la sontuosa residenza cittadina, in via de Romei. Anche qui dunque non si badò a spese per decorare e impreziosire le sale, ma l’ornatissima villa dovette dopo pochi anni passare di mano. Borso d’Este aveva concesso a Pendaglia un lucroso appalto, ovvero la riscossione della “gabella grossa”, imposta attribuita a tutte le merci che attraversavano i confini dello Stato. Lui a parziale pagamento dell’appalto nel 1448 cedette Zenzalino al duca, che a sua volta volle donarla al proprio favorito e consigliere, Pellegrino Pasini.
Fu Ercole I nel 1475 a investire della contea l’illustre famiglia Trotti, che si impegnò nella gestione della proprietà fino al 1850. Due sono i fatti che meritano di essere ricordati in questo ampio arco temporale: il primo è purtroppo un efferato omicidio, il secondo una più serena ristrutturazione.


Alla fine del Cinquecento il conte Ercole Trotti era sposato con Anna Guarini, figlia del poeta Giambattista Guarini, donna di grande cultura e raffinatezza, cantante di corte, damigella d’onore della duchessa Margherita Gonzaga, moglie di Alfonso II d’Este. Sembra che la giovane si fosse invaghita e avesse avuto una relazione con Ercole Bevilacqua, comandante dei cavalieri ducali, marito di Bradamante d’Este, figlia naturale di Francesco d’Este. Lo scandalo fu da manuale: quattro famiglie coinvolte, di altissimo lignaggio e potenti, oltre che orgogliose, e dietro a loro i signori di Ferrara, che non potevano ignorare il problema.
Il conte Bevilacqua sembra avesse ordito una congiura per avvelenare sia la propria moglie che il conte Trotti, e dunque avere campo libero con l’amante Anna Guarini. D’altra parte anche il Conte Trotti desiderava vendicarsi. Il duca Alfonso II per pacificare la situazione spedì il conte Bevilacqua a Sassuolo e fece giurare al conte Trotti di rinunciare ad ogni proposito violento. Per qualche decennio tutto filò liscio, ma alla morte del duca si riaprì la contesa. Il conte Bevilacqua tornò dall’esilio modenese e il conte Trotti si ritenne svincolato dalla promessa. Il 3 maggio 1598 lui e la moglie infedele soggiornavano a Zenzalino: il conte si fece aiutare dal fratello di lei, Girolamo Guardini, ingaggiato come sicario, per sorprenderla nel sonno e ucciderla a colpi di scure. Fuggì poi nel veneziano, ma dalle testimonianze dei servi e della balia convocati a processo si ottennero le prove del delitto. Fu quindi condannato a morte in contumacia, e gli furono confiscati tutti i beni. Cesare d’Este, duca di Modena e Reggio, perché nel frattempo Ferrara era tornata allo Stato Pontificio, lo protesse e lo ospitò nei suoi domini. Anna fu sepolta nella chiesa del Corpus Domini. Il conte Bevilacqua morì un paio di anni più tardi, probabilmente per avvelenamento. Nel 1605 anche il condannato conte Trotti fece ritorno a casa, e insieme alla seconda moglie si ristabilì proprio a Zenzalino.


Furono i suoi discendenti, nel 1810, a ripensare completamente il complesso e a modellare la villa con le fattezze che tuttora la caratterizzano. Le sembianze originali si possono immaginare grazie alla planimetria disegnata nel 1613 da Giovanni Battista Aleotti, copiata nel 1724 dal perito Giovan Battista Benetti. Nella pianta si vede un palazzo rurale con base rettangolare con due ali, e altri due edifici distinti che formano una corte, chiusa verso la strada da un cancello colonnato. Dietro l’immobile si apre un piccolo giardino organizzato in aiuole regolari.
Già sul finire del Settecento la situazione era mutata. Nella mappa redatta da Matteo Fieghi, nel 1797, le dimensioni del possedimento sono cresciute e l’area è distinta in comparti funzionali. Anche gli edifici sono cambiati, si sono aggiunti un oratorio e altre fabbriche, e oltre al giardino si nota un grande brolo “con tovagliere”, ovvero una zona destinata a frutteto e vivaio, che si allunga fino al “sito della mulinazza” e alla casa del carrettiere, dove si trovava la peschiera che serviva probabilmente a contenere l’acqua per annaffiare. Sul lato ovest compare anche un vasto orto. Nel 1810 si avviò la ristrutturazione in chiave neoclassica. Venne collocato al centro del corpo principale il portale sormontato dallo stemma di famiglia e dalle maestose mensole in marmo che sorreggono il balcone. Vennero innalzate le torri laterali a pianta quadrata, raccordate dalla cornice in marmo bianco. L’intero sottotetto venne fasciato dal cornicione in cotto. Infine un corridoio pensile venne costruito sulla destra per allacciare il palazzo alla vicina cappella gentilizia, che all’ingresso riporta la data 1830. Del giardino non si hanno notizie: anch’esso fu radicalmente trasformato, forse dai Trotti, forse dai Pavanelli, che comprarono l’intera tenuta nel 1850. Sicuramente a ispirare il rifacimento fu il gusto inglese, e in una planimetria del 1912 già si parla non più di corte e nemmeno di brolo ma di parco. Il prato viene percorso da vialetti tortuosi, il succedersi prospettico dei boschetti amplifica ulteriormente l’impressione di vastità e spontaneità. Il laghetto artificiale, dalle sponde sinuose, si fa accarezzare dai salici. Non distante si incontra la porticina che conduce alla ghiacciaia, quasi l’antro di una strega. In una radura si staglia la torre colombaia a pianta esagonale. Nel 1880 si inserisce in questo contesto, aggraziato e pittorico, anche il curioso chalet svizzero, progettato dall’architetto Augusto Grossi e, all’epoca, abbellito da una voliera per gli uccelli esotici. A volerlo fu Ermelinda Ricci Pavanelli, affascinata dalla moda romantica, che inseriva nei giardini richiami ai paesaggi alpini. Negli anni Venti si inserisce infine, a sinistra della facciata del palazzo, la serra ad esedra, scandita da un unico ordine di arcate.
Molti degli alberi che tuttora crescono in questo spazio d’incanto hanno già festeggiato i loro primi cento anni. Di particolare rilievo, insieme ai cedri del Libano, le affascinanti sophore giapponesi, dai tronchi scuri e ricurvi come sculture.
Oggi Zenzalino appare decisamente viva, brillante di foglie e fiori, cantata dagli uccellini che nidificano tra i rami dei tigli e nel fitto del bambù, eppure per certi versi sembra lontana dal tempo presente, cristallizzata come un sogno.
Ci fu un poco di clamore quando in provincia si apprese che proprio qui, nel maggio del 1995, era nato il cavallo Varenne, soprannominato il Capitano, considerato il migliore trottatore di tutti i tempi. La fiamma dello stupore tuttavia divampò e bruciò in fretta, e il meraviglioso parco immerso nella campagna tornò a godersi la propria isolata e placida tranquillità.