Convento di San Giovanni in Canale
Via Croce 26, Piacenza
Si sente spesso dire che, per avere un’idea di come davvero si presentasse Piacenza nel passato, bisogna immaginare vie e vicoli fiancheggiati da un reticolo di corsi d’acqua. Una piccola Venezia? Forse sarebbe eccessivo descriverla così, tuttavia la presenza dei canali caratterizzava in modo significativo il centro storico, tanto da resistere al passare del tempo sotto forma di toponimi.
La chiesa e il convento di San Giovanni risalgono al XIII secolo e furono edificati dai domenicani – arrivati in città nel 1220 – nei pressi del rio Beverora, in un terreno ricevuto in donazione. All’epoca però esisteva già un luogo di culto dedicato al santo, quindi per distinguere la nuova costruzione venne aggiunta la specifica dedicata al canale. Oggi per accedere al giardino basta entrare nella porta situata accanto all’ingresso principale della chiesa. Si incontra un lungo corridoio, dove vale la pena notare in fondo a sinistra il monumento sepolcrale dei Guadagnabene, famiglia di banchieri e mercanti, particolarmente operante tra il Duecento e il Trecento. I suoi interessi e commerci – inerenti soprattutto tessuti e lane – superavano ampiamente i confini nazionali, raggiungevano l’Irlanda e la Cina. I Guadagnabene – nomen omen – furono inoltre tra i finanziatori dei Re di Francia e d’Inghilterra: supportarono economicamente le crociate volute da Luigi IX e prestarono denaro a Enrico I. Il loro sepolcro risale al 1365. Scolpito nel marmo rosso di Verona, presenta la raffigurazione dell’Agnello mistico, attorniato da due croci greche e altri simboli ornamentali, ed è sormontato da un’edicola a colonnine binate che racchiude la pittura muraria – purtroppo parzialmente degradata – della Madonna con Gesù Bambino, compresa tra i due stemmi della famiglia.
In corrispondenza del monumento si apre la porta del giardino, che come facilmente si intuisce deriva da un più antico chiostro. Parte del loggiato è ancora visibile, ma gli archi sono stati chiusi dalle vetrate. Altre colonne di pietra sono state inglobate nel muro in mattoni. All’interno dell’area – tradizionalmente quadripartita – crescono soprattutto alberi da frutto, testimoni silenziosi di un passato semplice, autarchico, produttivo, che concepisce il verde in relazione alla soddisfazione alimentare. C’è il susino, il pruno, un anziano albicocco, il ciliegio, il melo selvatico, i nespoli e la vite. Insieme a loro crescono anche l’alloro, l’ulivo, le rose e la siepe di fotinia.