Chiesa di Santa Maria
Via Filippo Corridoni 33, Mantova

Il piccolo giardino nascosto dietro la Chiesa di Santa Maria della Carità per molti mantovani è uno scrigno di ricordi.
Per accedervi si passa attraverso uno degli edifici religiosi più antichi della città, fondato nel 984 per volere degli orefici – artigiani e commercianti particolarmente attivi e benestanti, ricordati anche nella toponomastica della via vicina. Il tempio fu ricostruito nel 1613 e ristrutturato nel 1752, quando si optò per la decorazione barocca che tuttora lo caratterizza, anche se ciò che soprattutto colpisce di questo edificio è il particolare sagrato che accompagna l’ingresso, un’atipica piazzetta quadrata e rialzata, dove si trovano murate le lapidi provenienti dal cimitero che prima occupava lo stesso spazio.
Fino a qualche decennio fa la parrocchia è stata tra le più frequentate e amate: sulla stessa piazzetta si affacciava l’oratorio dove ci si poteva sfidare a ping pong o a calcio balilla, oltre al teatrino che accoglieva incontri e rappresentazioni, attualmente destinato all’archivio diocesano. Allo scoperto si accedeva dalla chiesa, superando la navata centrale – decorata da un meraviglioso ciclo dipinto da Giuseppe Bazzani, che proprio qui fu battezzato, nel 1690 – e infilandosi nell’appartamento del parroco. L’odore dolciastro dell’incenso, il silenzio e la necessità di muoversi attraverso i banchi di legno senza disturbare, uno sguardo veloce dentro alla sagrestia, con le tonache appese alle grucce perché non si spiegazzino prima della funzione, gli ambienti modesti e puliti abitati dal prete: basterebbe questo, a chi oggi volesse avventurarsi in cerca del giardino, per sentirsi sospeso nel tempo, in un momento indecifrabile e indefinito del Novecento italiano, così riconoscibile e familiare da sembrare immutabile ed eterno.


La luce attraversa la porta a vetri, in fondo al corridoio, che si spalanca sul verde: melograni ed oleandri si contendono un piccolo fazzoletto di terra, circondati dalle ortensie e dalle esuberanti piante aromatiche, dai cespugli di lavanda, salvia e rosmarino. Le scalette conducono al vecchio campetto da calcio, spelacchiato dall’uso intensivo che per decenni ha condotto qui ogni pomeriggio gli adolescenti di tanti quartieri, ombreggiato dalla grande acacia che si sporge verso il Rio. Già da parecchi anni non passano più da qui gli aspiranti campioni. L’oratorio è stato chiuso e le estati passano senza schiamazzi, senza macchie di erba sui pantaloni corti, senza grida che si infilano attraverso le finestre aperte dei condomini di fronte. Resta la rete che serviva a evitare che il pallone finisse irrimediabilmente nell’acqua, restano le porte in ferro arrugginito, la nostalgia della noia, delle infinite vacanze, di quando a una cert’ora fa ancora caldo ma bisogna tornare per cena.