Chiesa di Santa Chiara
La chiesa di Santa Chiara sembra caduta dal cielo: piccola e curiosamente ottagonale, anticipata da un giardino fiorito, conserva la grazia delle chiesette di campagna, eppure si trova in centro città, letteralmente incastrata tra i palazzi.
Venne realizzata nel tardo Quattrocento, in stile protorinascimentale, con un guizzo creativo non comune. Sintetizza stili diversi: il bizantino nell’uso del laterizio e nel tamburo, che raddoppia gli otto lati e li fa diventare sedici, il romanico negli architetti, il gotico nelle finestre verticali, il rinascimento nello spazio circolare interno e nel portale in pietra rosa.
L’autore del disegno probabilmente fu Domenico da Venezia, “ingegnere” del Comune, a completare il laborioso cantiere subentrò il capomastro Matteo di Giovanni.
Sebbene il tempio venga chiamato abitualmente solo Santa Chiara, l’intitolazione formale è doppia, e comprende anche San Bernardino, che difatti si trova ritratto sopra l’ingresso: fu lui in realtà, con le sue parole entusiasmanti, a motivare la nascita del complesso, chiesa e retrostante monastero di clausura. Il francescano passò a Vicenza due volte, nel 1423 e nel 1433: le sue predicazioni raccolsero l’entusiasmo di folle di fedeli e un gruppo di donne, vergini e vedove, si volle organizzare in comunità per seguire insieme la regola dell’Osservanza, votandosi alla santa d’Assisi, che rispecchiava al femminile lo spirito dei francescani.
L’insediamento delle monache avvenne gradualmente, bisognava aspettare il termine dei lavori, e non senza qualche criticità. Non correva buon sangue con le “vicine di casa”, le monache dell’adiacente convento di San Tomaso, e per evitare il perpetuarsi dell’inimicizia le autorità si videro costrette a murare le finestre del campanile accanto, tuttora chiuse da mattoni. In questo modo nessuno spiava nessuno, e tutti potevano restare concentrati sulle proprie attività.
La struttura cambiò destinazione a seguito dell’occupazione francese e nel 1880 venne comprata da Gian Domenico Caldonazzo, che volle destinarla all’educazione dei fanciulli poveri. A questo scopo vennero chiamate in città le Suore poverelle di don Luigi Palazzolo, che prima curavano i bambini senza mezzi e oggi prestano assistenza a persone disabili o in condizioni di difficoltà familiare.
Visitare il vecchio monastero – che tra chiostri, cortili e giardini arriva fino al Retrone – non è possibile, si andrebbe a interferire con la quotidianità delle persone accolte. Lo sguardo e la curiosità si devono “accontentare” – si fa per dire! – del giardino, della chiesa e del prezioso coro delle monache, eccezionalmente aperto per Interno Verde.
Tra le chicche che meritano attenzione, da cercare come in una caccia al tesoro: il grosso cespuglio di osmanto odoroso; il bastone di San Giuseppe, chiamato così perché fiorisce il 19 marzo; la magnolia giapponese; le vecchie lapidi integrate nel condominio; i capitelli con lo stemma gentilizio del conte Carlo Volpe, committente del portale; l’affresco cinquecentesco del Cristo a colonna. Infine: le magnetiche sibille, dodici veggenti pagane che il cristianesimo ha interpretato come profetesse del Nuovo Testamento. Un esempio? Il messaggio della sibilla frigia, Annunciabitur Virgo, è stato inteso come anticipazione della concezione divina di Maria.