Casa Arata

Via San Siro 74, Piacenza

L’architetto Giulio Ulisse Arata, nato a Piacenza nel 1881, fu operosissimo in Italia. Spese il suo ingegno da Milano a Napoli, dal restauro del quartiere medievale di Bologna a quello del Palazzo della Provincia di Ravenna.

Fu però nella sua città, in questo palazzo e in questo giardino, che potè esprimersi con maggiore autenticità e libertà, svincolato dagli obblighi imposti dalle committenze e dal giudizio della critica, lontano da necessità che non fossero quelle dettate dal suo occhio e dalla sua eclettica sensibilità. Questa infatti fu la dimora che scelse per sé e la propria famiglia. Egli acquistò nel 1922 il terreno e le costruzioni che già si trovavano in loco, che in parte si riferivano al complesso conventuale di Sant’Antonino, in parte a Palazzo Baldini, in parte a Palazzo Nasalli Rocca, e iniziò il restauro.

Più che a un progetto si dedicò a un processo: la sistemazione e il ripensamento degli spazi – soprattutto quelli esterni – furono continui e costanti. Racconta Armando Siboni, nella monografia dedicata all’architetto: «Arata era in apparenza chiuso e solitario, appartato in una romantica visione della vita di cui sosteneva spesso di essere l’ultimo rappresentante. […] Se era difficile entrare in questa casa come estraneo, lo era ancora di più entrarci come amico. Ma una volta entrati l’uomo rivelava la sua vera natura e si illuminava di entusiasmo nel mostrare il suo lavoro». Il giardino esprime il carattere forte e curioso dell’artista – così Arata amava definire sé stesso e i colleghi: mescola e unifica grazie al proprio gusto elementi provenienti dalle epoche più disparate, dall’antichità al medioevo, dal rinascimento all’Ottocento. Entrando dal cancello di ferro battuto si incontra una prima area formale, definita geometricamente tra aiuole e vialetti, siepi di bosso e campiture di prato e di edera.

Via via che ci si inoltra nei sentieri si scopre l’anima paesaggistica, il gusto tutto pittorico della rovina. La tradizione italiana incontra la tradizione inglese, la regola si sfalda nel romanticismo, nella grotta, nel pensatoio. Si susseguono scorci prospettici, scalinate di pietra e dislivelli sostenuti da muretti. Lo scorrere del tempo si rappresenta artificialmente e fantasiosamente. Disseminati qua e là si trovano i reperti della collezione antiquaria iniziata in giovane età, quando il futuro professionista di grido era ancora uno studente fresco di diploma. Colonne, statue, capitelli, sculture e portali sbucano tra i rampicanti, sporgono dai cespugli. Superando la fontana col mascherone, popolata di pesci rossi, e salendo le scale che portano alla terrazza porticata affacciata su via San Siro, si incontra anche una guglia neogotica proveniente dal Duomo di Milano, acquistata negli anni Trenta e di cui ancora si conserva la fattura. Il carattere intimo e meditativo del giardino è amplificato dalle profonde ombre proiettate dagli alberi secolari e dai loro compagni più giovani. Crescono qui l’abete bianco, l’abete del Colorado, l’acero di monte, l’ippocastano, il carpino bianco, il cedro azzurro, il cefalotasso cinese, il cipresso di Lawson, il faggio, il faggio a foglia di felce, il gingko, la magnolia, la fotinia, l’abete rosso, l’abete orientale, il pino nero, la sofora, il tasso, la tuia orientale.

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