Borgo Tarapino

Via Massafiscaglia 231, Ferrara

Un viaggio a scalare, nel piccolo sempre più piccolo, nella frazione della frazione.

Ovvero a Borgo Tarapino, striminzito gruppo di case immerse nella campagna, lanciate come sassolini in mezzo alla terra, propaggine estrema e liminare di Contrapo. Nomen omen, dicevano i latini, il destino è nel nome: «in dialetto tarapin vuol dire un quel inutil, che non serve a niente», racconta il proprietario del B&B che porta lo stesso nome del borgo. E sul concetto di utilità e inutilità vale la pena spendere un pensiero, qui. Nel giardino affacciato sulla strada – ombreggiato dalle conifere – spiccano bianche lapidi trasformate in panchine, altre lastre di pietra irregolari contengono le aiuole. «Le ho trovate a Codrea, anni fa, stavo facendo dei lavori in campagna con mio fratello. Erano sotterrate e guardando verso il podere ho notato che in linea d’aria corrispondevano ad alcuni segni rimasti sul muro. Non sapevo esattamente cosa fossero, forse basamenti per pilastri, però mi piacevano e le ho prese». A guardarci bene sotto un vecchio albero si nota anche una croce di ferro, ma non corrisponde a nessuna sepoltura: «l’ho presa quando hanno smantellato il vecchio cimitero del paese, c’erano tutte le tombe di famiglia». Il pozzo è ancora funzionante, la catena è quella originale, mentre il secchio di una volta è stato riposto in magazzino. La casa ha i suoi anni: la famiglia conserva con cura i vecchi documenti che riguardano la possessione agricola, attestata già nel Settecento. Il terreno pare appartenesse alla curia, tanto che nella certificazione di una successione ereditaria di metà Ottocento si spiega come – essendo passato a miglior vita tale Innocenzo Cuoghi – i figli si impegnano a corrispondere al suo posto il consueto tributo: 50 uova, due paia di polli, due paia di capponi.

Sul retro, tra i salici piangenti che si tuffano nel canale e il verde selvatico che cresce in fondo, verso il Po di Volano, una volta si aprivano le coltivazioni, che più di recente si sono rivelate poco funzionali, una spesa più che un beneficio. Per questo si è aperto lo spazio, ma a cosa serve tanto spazio? «Abbiamo pensato di piantarci un boschetto, con piante tutte diverse, invece di lasciare il vuoto». Un arco dà il benvenuto ai visitatori, le colonne sono state costruite a quattro metri di distanza una dall’altra: «sono gli anni di differenza che hanno i miei nipotini, Amelia e Gael. L’arco serve, perché dovranno essere sempre vicini, sempre insieme». Sul tronco mozzato di una vecchia pawlonia è stata sistemata la cuccia di un cane che non c’è, riservata agli uccellini. Sulla destra cresce l’orto dove, tra pomodori e zucchine, si incontrano anche decine di zucche ornamentali. «Tempo fa un signore mi ha chiesto se poteva prenderne un po’, è tornato dopo mesi, le aveva tutte dipinte. Bellissime!». In fondo all’area, dove la vegetazione è selvatica, non mancano lepri, volpi e fagiani. Questa è zona di ripopolamento, la caccia è vietata e gli animali si trovano a loro agio, e soprattutto la mattina presto non mancano di farsi vedere. 

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